La cucina italiana è la più buona del mondo. Ma, forse, i cuochi italiani sono fra i più cattivi. Almeno quelli diventati famosi grazie alla televisione. Per primo avevo scritto, in tempi non sospetti (1990), della necessitá che in Italia i cuochi facessero un salto di qualitá nella percezione generale, uscissero da una condizione “minore” nella quale il nostro sistema li aveva collocati ingiustamente. Insomma, che non venissero più considerati dei bruciapadelle o, peggio, dei pasticcioni… . Si sentiva forte la mancanza di chef Superstar, come peraltro esistevano in Francia. La societá avrebbe dovuto riconoscere il loro impegno, il loro valore e, anche, decretarne la statutarietà. Questo è avvenuto ma soltanto in parte. Personaggi come Gualtiero Marchesi, o Angelo Paracucchi, che con passione, cultura e genialitá hanno rivoluzionato la ristorazione italiana, non sono mai stati riconosciuti fino in fondo per il loro ruolo straordinario, per la loro carica rivoluzionaria, per il coraggio estremo e incurante di perbenismi e diffidenze. Fossero stati in Francia avrebbero avuto la Legion d’onore! Invece, gli chef che sono approdati in televisione come protagonisti di format di successo si sono trasformati abbastanza velocemente in personaggi nazionalpopolari e, grazie a questo divismo acquisito, hanno potuto accedere ai vantaggi economici conseguenti… . Vantaggi di gran lunga superiori a quelli derivanti dalla attività di esercenti di ristorazione… . Altri, che hanno scelto di continuare su strade collaudate – come quella, sacrosanta, di privilegiare la presenza nelle cucine del proprio ristorante, studiando a fondo materie prime e cotture, creando la propria linea di cucina, costruendo un rapporto duraturo con una clientela fedele – sono rimasti nell’ombra. Bravi, spesso bravissimi, passano le loro giornate in cucina, ma sono in seconda linea rispetto agli chef tv, seguiti da milioni di persone che, nella stragrande maggioranza, non diventeranno mai clienti dei loro locali… . Ma, per ottenere successo e visibilitá, anzichè esibire buon senso e RAGIONEVOLEZZA, spesso scelgono la strada dell’insulto, dell’umiliazione, della insensibilità verso i più deboli e i meno attrezzati, esercitandosi in una sorta di tiro al piccione… . In nome del “cattivismo” gratuito… . Ho visto esordienti maltrattati piangere, schiacciati come zerbini da saccenza e presunzione… . No, non ci piace Monster Chef: assomiglia ad una caricatura esasperata del peggiore individualismo, una sorta di esibizione di muscoli assolutamente insopportabile, un esercizio fascistoide di demagogia mediatica. Mors tua vita mea. Al cuoco che distrugge ed umilia preferiamo quello che, grazie a cultura e intelligenza, trasmette valori, aiuta a crescere e, quando occorre, ha anche il coraggio della franchezza, senza inutili buonismi ma con la inevitabile e chiara fermezza nel contrastare velleitá e stupidi protagonismi. Perché le buone intenzioni vanno incoraggiate, così come certe illusioni vanno frenate, con sapienza e acume. Una cosa è il rigore, un’altra è la cattiveria inutile. Evviva la ragionevolezza, abbasso le mostruosità. Anche se fanno audience.
Alberto P. Schieppati
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