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di Alberto P. Schieppati

E come dargli torto? Gianfranco Vissani, in una recente intervista a Quotidiano.net, i cui punti principali sono stati ribaditi nel corso di una nostra conversazione, il 6 febbraio scorso, ha (provocatoriamente) affermato che “stiamo distruggendo tutta la buona cucina, la qualità dei nostri grandi prodotti, i sapori veri che ormai quasi nessuno sa riconoscere”. Estremizzando, l’accusa del grande cuoco di Civitella del lago, frazione di Baschi, Umbria, due stelle Michelin, riguarda per la gran parte colleghi “stellati” (!) che, secondo lui, “ non sanno neppure cuocere la pasta….”. Gianfranco, che per me è uno dei più bravi cuochi italiani, non è nuovo a dichiarazioni shock, che confermano una volta di più il suo essere sempre controcorrente. Così, il “cuoco di D’Alema”, come venne definito una trentina di anni fa, continua sulla strada della strenua difesa del prodotto italiano, che deve essere alieno da ogni tipo di contaminazione che abbia l’odore (o la puzza) del “modaiolo” a tutti i costi. Basta stupire, insomma. E sarebbe ora. Come si dice, il dibattito è aperto. Non se ne abbiano i cultori di “bisturi e pinzette”, schiumette e azoto. Il loro lavoro è spesso geniale, frutto di grande esperienza e di tecniche approfondite e collaudate. Spesso ne scriviamo e talvolta meritano attenzione. Ma –dice Vissani- non basta, o meglio non serve a nulla, se non ad allontanare il focus dalla qualità autentica dei nostri prodotti, spesso dimenticati o sconosciuti. Così Vissani rincara la dose: “ Certi cuochi fanno pietà: non sanno cos’è un broccolo fiolaro, le mammole, la castraure. Non distinguono le schie dai gamberi rosa, comprano tutto da quattro colossi commerciali che monopolizzano il mercato e che forniscono persino il fondo bruno in vaschette o le anatre porzionate e congelate. L’unica cosa che considerano importante è che tutto sia tenero, anche se non sa di niente. Tanti non sono capaci di cuocere la pasta, se usi acqua del rubinetto: il cloro intacca lo spaghetto, lo spacca perché il cloro non evapora, anzi, nell’ebollizione si concentra”. Il Vissani-pensiero, come spesso accade, rappresenta il punto di vista di molti, cuochi, gourmet, gourmand o semplici appassionati, ognuno con motivazioni differenti. Se ne parlava con lo chef Daniel Canzian, che stellato non è, durante lo scorso Follow Artù a Milano: “Grazie a una selezione acuminata della materia, ho visto un cambio di marcia nella realizzazione dei piatti. In Italia abbiamo straordinarie possibilità e credo che il cuoco debba continuare a cercare, conoscere, selezionare il meglio del mercato, dei nostri mercati”. Gli fa eco Vissani: “Bisogna cercare, confrontare, affidarsi a fornitori e artigiani di fiducia, diffidare degli ortaggi troppo lisci e belli e mai farsi consegnare la spesa a casa”. Beh, forse nella campagna umbra questa strada è più praticabile che in una grande città, ma il senso è chiaro. Fra i tanti chef che rispettano il territorio e l’autenticità dei prodotti, e che sanno trasmettere questa schiettezza tutta italiana nei propri piatti, fra tanti mi viene in mente Massimo Spigaroli, interprete di quella cucina “fluviale” tanto apprezzata dalla clientela che sceglie di fare un’esperienza all’Antica Corte Pallavicina, lungo gli argini del Po: solo prodotto italiano di alta qualità, in questo caso a metro zero, verdure e ortaggi freschi dei propri orti, animali allevati secondo criteri di libertà e trasparenza. Perché, come diceva Gualtiero Marchesi, “la materia è vincolante: va conosciuta, ricercata, controllata giorno dopo giorno con meticolosa diligenza, cercando il meglio e non accontentandosi mai”.

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