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La storia della famiglia Iaccarino è una storia di passione, coraggio, generosità. E quindi di successo. Un gioco di squadra perfetto e naturale, senza forzature, dominato dal solo pensiero di fare bene e far stare bene. Alfonso, Livia, Ernesto, Mario, un quartetto irripetibile, per stile e risultati riconosciuti a livello internazionale. Il ristorante Don Alfonso 1890, a Sant’Agata sui due Golfi (tra Sorrento e Postano), è un luogo di eccellenza culinaria, creato e consolidato dalla impronta straordinaria di Alfonso e da una tensione continua verso ciò che è buono, bello e salutare. L’azienda agricola di Punta Campanella, Le Peracciole, di fronte all’isola di Capri, seguita assiduamente da Alfonso e Livia, fornisce la freschezza e i sapori di materie prime straordinarie (pomodori, olio di oliva, melanzane, limoni e molto altro) che compongono il mosaico di un’offerta irripetibile, guidata dalla geniale regia di Ernesto e resa ancor più fascinosa dall’ospitalità superlativa del Relais.

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A Sant’Agata ci si arriva innanzitutto per loro, richiamati dall’opportunità – unica – di godere di un’esperienza inedita, impossibile da replicare altrove. I motivi sono tanti e cercherò di elencarli senza eccedere in parzialità. Innanzitutto il luogo, la sua bellezza: da questa lingua di terra assolata, la Penisola sorrentina, si gode una vista mozzafiato sul golfo di Napoli e sul golfo di Salerno, come dire: un occhio al Vesuvio e uno alla Costiera amalfitana, autentica visione binoculare. Poi ci si viene per l’atmosfera che si respira in queste strade, curvose e talvolta tortuose, ma capaci di ispirare serenità e distacco, così lontane dallo stereotipo mediatico che vede in Napoli e nella sua area un esclusivo luogo di negatività. A Sant’Agata è esattamente il contrario: strade pulite, gente cordiale e tranquilla e, proprio nel centro del paese, una villa, un piccolo relais con ristorante, giardino, patio e piscina (e scuola di cucina) immerso nella vita quotidiana di Sant’Agata ma felicemente isolato da tutto il resto, “dentro le cose” (come avrebbe forse detto Eugenio Montale) ma in un mondo a parte, ovattato, raffinato, attento, dominato dal rispetto per l’ospite e per la sua felicità. Qui, al Don Alfonso, è tutto governato dalla forza della natura, dai suoi colori, dai profumi dei fiori e delle materie prime, dalla musicalità della parlata locale, dall’attivismo composto dello staff, dallo stupore della clientela turistica internazionale, rappresentata dalla sua parte più “alta”, per cultura, benessere, ansia di conoscenza. Qui, dicevo, ci si viene per loro: Livia, Alfonso, Mario, Ernesto. La famiglia salaIaccarino, di cui Alfonso è il deus ex machina a pieno titolo, la memoria storica e il presente progettuale. L’impronta del tempo e la cura per i dettagli. Il coraggio di non allinearsi e la saggezza di stare al passo con i tempi che cambiano. Da sempre alieno da ogni forma di protagonismo, Alfonso è un fuoriclasse che ha dedicato tutta la sua vita all’affermazione della qualità, intesa nel senso della ricerca continua e totale del meglio, senza compromessi e senza diplomazie del pensiero o della parola. In un volume che consiglio a tutti, La cucina del cuore (uscito due anni fa per Mondadori), Alfonso racconta nei minimi dettagli la storia della sua vita, dell’amore per questa missione esistenziale fatta di scelte coraggiose, evoluzioni, cambiamenti, amore. Una storia che è anche la storia della sua cucina, una cucina che si basa essenzialmente su tre grandi linee-guida: mediterraneità, qualità delle materie prime, modernità. “Cerchiamo di preservare il più possibile i sapori delle materie prime e di cucinarle in giornata. Questo non vale solo per il pescato, che i miei amici pescatori mi forniscono a seconda del tempo, della stagione, delle uscite in mare. Ma anche per la verdura e la frutta. Quindi i soggiorni prolungati e insistiti in frigoriferi, freezer, surgelatori sono i primi nemici della nostra cucina”, dice Alfonso. Elogio della freschezza, 36-41 prot. vesuviorquindi. Freschezza resa possibile dall’intensa attività dell’azienda agricola di famiglia, seguita personalmente da Alfonso e Livia, a Punta Campanella, a un quarto d’ora di strada dal Don Alfonso: un luogo magico e vitale di profumi e colori, dove si concentrano massicce dosi di energia e passione, metodo e costanza, indispensabili alle coltivazioni de Le Peracciole. “Di solito, dato che l’azienda agricola è un gigantesco orto a nostra disposizione – racconta Alfonso -, la mattina colgo gli ortaggi maturi che penso di usare in serata, o che servono per sperimentare un nuovo piatto: pomodori tondi e dolci, insalatine di campo, un po’ di broccoli e di rape rosse per accompagnare una carne, una manciata di capperi per accompagnare una triglia al vapore. E poi l’origano, il basilico, i limoni che serviranno per le limonate da offrire agli ospiti come rimedio contro la calura estiva e soprattutto a Livia, che ne è golosa e in una sola estate ne beve l’equivalente di quasi mezza limonaia!”. Già, Livia: la sua è una figura di spicco, fondamentale nell’offerta del Don Alfonso. Instancabile, lucidamente attenta ad ogni particolare, fordolce e determinata al tempo stesso: a lei si deve la raffinatezza del luogo, lo stile, l’impronta personale degli interni, l’estetica che permea delicatamente tutta la struttura, dalla sala del ristorante, al giardino fiorito, alla piscina, al patio, alle camere e alle suite del Relais. E se a Livia si deve tutto baciquesto, al figlio Mario, quarantadue anni, va riconosciuta la preparazione del grande direttore d’orchestra: serio e professionale, in grado di coordinare una squadra affiatata di professionisti, capaci di entrare in sintonia, ognuno con i propri ruoli, con le esigenze del cliente e “forti” di lavorare per una famiglia straordinaria, attenta all’aspetto umano sopra ogni altra cosa. La grande cucina di Alfonso, oggi sempre più impegnato a portare nel mondo lo “stile Iaccarino” (le esperienze di Macao, in Cina, al Mamounia di Marrakech e all’Hotel Melià di Roma sono tutte significative in tal senso, nonché molto coinvolgenti), ha visto nel figlio Ernesto, quarantatre anni, un interprete geniale e rigoroso di una grande cucina di tradizione e di ingredienti naturali. In un momento in cui molti chef stellati cercano nuove strade per fidelizzare la clientela (spesso inventandosi proposte di cucina “semplificata”, modello bistrò o trattoria), Ernesto rimane fedele all’impostazione di famiglia, che parte necessariamente dalla qualità assoluta delle materie prime e che non predilige ”ridimensionamenti” che rischierebbero di stravolgere l’origine dei piatti, nonché i sapori delle materie prime. “Da parte nostra – ci ha detto Ernesto – abbiamo semmai deciso di accelerare sulla prima linea, senza inventarci in alcun modo linee di cucina subalterne o pseudoinnovative. Certo, la modernità è il nostro vero obiettivo, purché sia aderente alle smisurate possibilità offerte dal nostro territorio e venga proposta con intelligenza e senza inutili e pstic - Adobe Readerpericolose forzature”. L’equilibrio dialettico di Ernesto è notevole: nessuna estremizzazione, nessuna velleità modaiola nelle sue parole, solo una armonica ed essenziale aderenza alla realtà, intesa nel suo equilibrato divenire. “Credo ad una cucina moderna e fortemente identitaria, che sia capace di evolvere ogni giorno e che, fatto non trascurabile, possa contare su uno chef e una brigata che stiano in cucina ogni giorno, anche per sedici ore se necessario!” E ancora: “Qui a Sant’Agata non dobbiamo mai dimenticarci dove siamo: il territorio per la mia cucina conta tantissimo… e nel nostro caso, sotto questo aspetto, possiamo dirci fortunati. L’intelligenza sta proprio nel capire dove sei, utilizzando le materie prime migliori, sforzandosi di raggiungere una sintesi che sappia esprimere il meglio, senza esagerazioni né invasività (ahimé presenti in tanta cucina, ndr) che si rivelerebbero solo un iperbole”. Così Ernesto, forte di una brigata di una ventina di persone (tra cui gli chef di spicco per impegno e professionalità: Nicola Pignatelli, Christian De Nadai, Tommasio Foglia) guida il Don Alfonso proponendo piatti di tradizione e riedizioni di piatti storici, ma anche piatti completamente nuovi, come “la reinterpretazione dell’uovo in tegamino con burrata e tartufo nero”: una prelibatezza che rimanda ai profumi dell’infanzia, di quando Ernesto vedeva papà portare dal Piemonte il tartufo bianco che, “proposto con l’uovo, è uno dei grandi piatti della memoria”. Piatti, quelli di Ernesto, che sanno raggiungere il centro delle emozioni, sapori rotondi che si esprimono compiutamente nella propria essenza, come i paccheri di Gragnano, cacio, pepe e scorfano di roccia, (il piatto a cui Artù dedica la copertina di questo numero), il Vesuvio di rigatoni, o gli straordinari cappelli di pasta farciti di maiale nero casertano alle spezie d’Oriente e fonduta di parmigiano. Primi di struttura e sostanza, ma anche raffinati e delicati, oltre che belli nelle loro presentazioni. Altri primi dalla carta: i nudi di ricotta in ristretto di cappone di mare con infusione di verbena odorosa, bucce di limone ed ortiche, i baci di pasta di calamari ripieni con il pescato del giorno su leggero pesto al basilico, il risotto ai sentori di cedro, ricci di mare, scampi, uova di salmone ed alghe marine. Un elenco che non può rendere appieno i sapori, il gusto e la consistenza di questi piatti… Dal menu ricorderò solo alcuni piatti di Ernesto, memorabili per armonia, compostezza, perfezione gustativa: i calamaretti e gamberetti con alghe e ortaggi estivi in leggera frittura e maionese di barbabietole, una ricetta storica, l’agnello Laticauda con battuto di erbe fresche del Mediterraneo, una proposta del 2013, il tonno, granella di pistacchi, intingolo di soia piccante con salsa di peperoncini verdi, un altro piatto di quest’anno, la rollatina di rombo, pane aromatizzato alle erbe, mozzarella, aglio ed emulsione di scalogni, del 2012. Sui dessert ci sarebbe da scrivere un altro pezzo….mi limiterò a ricordare il millefoglie di melanzana al cioccolato bianco e fondente, una ricetta di Alfonso Iaccarino, capace di esprimere con pienezza sapori e accostamenti. Dentro a questa scuola di vita che è il Don Alfonso, dove anche ogni minima esperienza è una soddisfazione, lo stile di famiglia è comunicato con notevole empatia dal gruppo dei collaboratori, tra cui spiccano Maurizio Cerio, l’ottimo sommelier che consiglia ai clienti etichette spesso inedite, lontane dai “vini fotocopia” che riempiono tante carte di ristoranti gourmet, Paolo Gargiulo, il direttore di sala che, con l’occhio attento, è sempre pronto a risolvere professionalmente ogni soluzione, Fortunato Maresca, impeccabile nell’accogliere gli ospiti del Relais. E tutto il gruppo dei giovani camerieri di sala, orgogliosi e responsabili, fortemente legati al Don Alfonso 1890: un luogo di valori solidi, che hanno lo stile come denominatore comune e l’imprenditorialità come strumento necessario all’affermazione di questa grande cucina del cuore.

Alberto P. Schieppati

 © Artù

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