di Alberto P. Schieppati
Premessa doverosa: la guida Michelin è sicuramente la più prestigiosa e affidabile fra le guide esistenti nel panorama editoriale italiano. Tra l’altro, Michelin è l’unica guida che si avvale, per i propri giudizi, di standard di valutazione internazionali. Nel “pollaio” italiano, fatto di guide e guidoline, di blog e di critici improvvisati, non ci pare davvero poco. Se poi questi standard di giudizio, una volta applicati nel nostro paese, creano polemiche e disaccordi, indignazioni e levate di scudi, beh, questo è del tutto comprensibile. Non siamo dunque qui a discutere sul blasone della Guida, che – a detta dei responsabili – vorrebbe essere soprattutto una guida di servizio, anche se l’interesse mediatico (e non solo) si appunta sempre e soprattutto sulle stelle: date, aggiunte, tolte, eliminate, confermate ecc. Dunque, al di là della constatazione obiettiva del valore internazionale della mitica guida rossa, che ha organizzato presso la sede della Mercedes Benz, a Milano, due momenti importanti per presentare l’uscita 2016, mi pare doveroso esprimere alcune opinioni relative alla recente edizione. Innanzitutto, alcuni dubbi personali, espressi in sintesi. Il primo: che senso ha togliere una stella a Davide Scabin, uno degli interpreti più geniali sulla scena ristorativa nazionale? Il secondo: perché eliminare l’unica stella di Paolo Teverini? Il terzo: perché affibbiare il simbolo delle ”monetine” al ristorante di Wicky Pryan, a Milano, che è un luogo di cucina alta e caratterizzata, con un food cost molto elevato? Solo perché a pranzo propone un menù a prezzo fisso? Credo che sia la caratteristica principale dei locali a dover essere esaltata, soprattutto nel caso di un ristorante come Wicuisine! Ancora: che cosa aspetta la bibbia delle guide a premiare chef del valore di Elio Sironi (Ceresio 7) o altri che non cito per evitare di metterli in difficoltà… E poi: in base a quali valutazioni togliere la stella al Trussardi Alla Scala? Roberto Conti e la sua brigata sono fra i giovani più motivati e attenti che la piazza milanese abbia la fortuna di possedere. Quest’ultimo ristorante, fra l’altro, oggettivamente uno dei più belli di Milano, oltre a perdere la stella, si vede anche declassato dal punto di vista “cromatico”, visto che il simbolo delle forchette è in nero, e non in rosso, come la maggioranza dei locali importanti citati in quella zona della città… Ricordo ai distratti che la colorazione delle forchette riguarda il comfort di ristoranti “particolarmente ameni”. Perché non è ameno Trussardi? Non ne comprendo il motivo e non vorrei supporre che si tratti solo di una banale svista…. Non sarebbe da Michelin… Più che un’opinione, invece, pongo una domanda ai responsabili: perché, nel caso di molti ristoranti stellati, non è indicato fra parentesi (come accade per molti locali) il nome dello chef? A Milano, in molti casi, il nome è indicato, in altri manca. Pura dimenticanza? Ma come? In conferenza stampa ci propinano spezzoni del film “Il sapore del successo”, quello in cui lo chef Adam Jones riassume i valori – tra cui la perfezione – a cui si deve tendere per ogni “upgrade stellare”, e la guida cade proprio su questo? Sarebbero molte altre le domande, non solo riguardanti Milano, che viene spontaneo rivolgere a Michelin… Ma, siccome siamo giornalisti (e non guastafeste) e siamo realmente soddisfatti per tante scelte fatte dagli ispettori della casa francese di pneumatici, facciamo i complimenti a tutti i neo stellati (Peter Brunel in testa, a cui dedicammo lo scorso anno addirittura una Cover su Artù, ma anche a Baldessari, vincitore dello Sparkling Menu di Villa Franciacorta, Dal Degan, Trapani, Asoli, Ribaldone, Salmoiraghi (era ora!), Piras, Tokuyoshi, Gozzoli, Viglietti, Lanteri – e non Lantieri, come scritto a pagina 8 della guida – e a tutti quegli chef che seguiamo da tempo con attenzione) ma anche a chi, come Giancarlo Perbellini, ha raggiunto il meritato traguardo della doppia stella nel nuovo ristorante veronese. Non a caso, è dedicata a lui la nostra intervista a pagina 10 (Artù N° 72).
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