Che fine hanno fatto i giornalisti? Viene spesso da chiederselo, visto che la gran parte degli eventi food o beverage vedono il protagonismo (talvolta apparente, più spesso soltanto esibito, in alcuni casi sostanziale) di blogger, che vantano (o ai quali viene attribuita) una presunta conoscenza del settore. Un tempo, i (o le, molto più numerose) food blogger sarebbero state definite impietosamente “massaie con la passione della cucina” o “dilettanti appassionati”, o “geniali imitatori di altri”. I tempi, però, sono cambiati e le competenze sono frequenti anche in questo mondo molto variegato, bisogna ammetterlo. Oggi – non solo nel mondo del food – il cosiddetto blog sembra essere diventato un nuovo modo di comunicare, di raccontare e condividere le proprie opinioni: sui social network, da Facebook a Twitter, è un florilegio di ricette, foto di piatti, racconti di esperienze memorabili, dalle quali anche chi scrive non è del tutto immune. Un fenomeno che sicuramente ha il suo peso. E che fa leva sulla assoluta libertà delle opinioni espresse. Ma che porta con sè anche una discreta dose di confusione. Cerco di spiegarmi meglio. E torno alla domanda iniziale: che fine han fatto i giornalisti, oscurati da blogger e social o, a loro volta, riconvertitisi in guru del web? Poiché non credo che la crisi dell’informazione sia irreversibile, resta da chiarire quale ne sarà il destino nei tempi a venire. E, forse, sarebbe il caso di fare un po’ di chiarezza. Personalmente penso che il giornalismo di qualità abbia un futuro comunque radioso, a condizione che chi scrive sappia raccontare (bene) storie vere, capaci di attirare attenzione, curiosità, confronti. C’è grande bisogno di buone penne, mai come in questi tempi di asservimenti ed esibizione di muscoli. Purtroppo, la “deriva” del copia e incolla, che ha ridotto molti giornalisti, o pseudo tali, a un mero ruolo di gazzettieri (come li definiva Carmelo Bene con rara efficacia), non ha certo giovato alla qualità dell’informazione. E ha portato molti giornalisti ad essere dei “ripetitori” banali di interessi altrui. Una condizione molto presente nell’informazione politica, che vede stuoli di yesmen plaudere a questo o quello schieramento, in cambio di apparenti vantaggi personali. Nel nostro campo, oltre al copia e incolla, ci sono parecchi altri vizi, congeniti e acquisiti (uno per tutti, la recensione compiacente e/interessata) : solamente una profonda rivoluzione morale, visto che si è toccato il fondo, potrà risollevare la categoria e, con essa, il comparto dell’informazione di qualità. Il mondo delle imprese, a sua volta, dovrebbe prestare più attenzione al valore di chi scrive per professione, selezionando criticamente, individuando priorità, senza mettere tutti nello stesso mazzo. Certo non è facile, bisogna investire del tempo per operare scelte ponderate: in un mondo in cui tutti si sentono food blogger o wine writer diventa imbarazzante (o controproducente, forse) prendere decisioni che escludano qualcuno. Ma, quando il fenomeno del blogging si affievolirà (e già ci sono i primi segnali) tornerà d’attualità il “vecchio”, sano modo di fare giornalismo: inchieste, interviste, prodotti, tendenze. E taccuini aperti su cui scrivere dati, informazioni, numeri. Storie vere, insomma. Di fatti e di persone, di materie prime e di aziende. Lontani dall’intimismo surreale e vicini alla realtà, alle materie prime, ai professionisti appassionati, nelle cucine dei ristoranti ma anche davanti ai fornelli di casa. Perché nella qualità del lavoro e dei prodotti, e di chi ne informa correttamente, sta la vera crescita della nostra economia. A.P.S.
© Artù