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Sarà per l’albpaolo pascoliniero di Natale più grande del mondo, sarà per la bellezza del paesaggio e del patrimonio artistico unico, sarà per il tartufo bianco che fa invidia a quello “di Alba”, qui a Gubbio ci si viene sempre volentieri. L’Umbria, sotto il profilo dell’offerta di ristorazione, è forse una delle regioni più “ragionevoli” d’Italia. Ed è per questo che Artù, in questo numero, sceglie proprio un locale eugubino per aprire la sua rubrica fissa. Parliamo della Cia, un nome che ricorda l’agenzia americana di controspionaggio, ma che rappresenta in realtà il nome di un vero e proprio riferimento per i gourmand umbri e non solo, visto che il territorio è meta di un turismo internazionale di tutto riguardo. Alla Cia, ubicata in suggestiva posizione a due passi dalla basilica romanica di Sant’Ubaldo, sulla montagna sopra Gubbio, sulla strada per Scheggia, Paolo Pascolini (nella foto) propone una cucina di puro territorio, che definire a km zero rischierebbe di apparire banale. Qui, infatti, siamo in una sorta di bacino naturale che può offrire il meglio in termini di verdure, erbe, salumi, carni e formaggi, per non dire del tartufo bianco (in autunno) e del nero (in estate) che contraddistinguono il luogo per la pienezza dei profumi che pervadono l’aria. Al netto di una tendenza “acchiappaturisti” che caratterizza un po’ tutta l’Umbria, con le sue botteghe finto antico che vendono tristi bottigliette di olio aromatizzato e paste all’uovo dai nomi pseudomedioevali, va detto che – per fortuna – gli artefici di qualità vera, nel rispetto delle produzioni locali, sono ancora tanti. Magari sono un po’ defilati dagli itinerari canonici del turismo di massa, ma ci sono e resistono egregiamente. La qualità dell’offerta fa la differenza: e il richiamo dell’autenticità vince sempre, soprattutto presso chi se ne intende od è mosso da “curiosità gastronomica”. Il giovane Pascolini, simpatico e cordiale, affiancato dalla sorella Michela, è uno di questi valorosi testimoni della cucina di qualità: fresca, gustosa, succulenta certo, ma equilibrata e armonica nel suo proporsi attraverso piatti di tradizione e di geniale “rivisitazione”. Paolo Pascolini è stato il vincitore assoluto, un paio di edizioni fa, del Premio Tartufo di Gubbio, che vede ogni anno (si è appena conclusa l’ultima edizione e ne pubblicheremo ampio report sul prossimo numero) chef di tutta Italia concentrati nella preparazione di piatti che vedono il bianco tubero protagonista assoluto. Non è certo semplice inventare piatti che fuoriescano dal tradizionale abbinamento tartufo-uovo o tartufo-tagliolini, a cui siamo tutti abituati, ma i partecipanti al premio di Gubbio hanno dimostrato che è possibile, con discrezione abbinata a qualità degli ingredienti, uscire dallo schema consolidato. Bravi. E bravo Paolo Pascolini, che nel suo ristorante di Sant’Ubaldo propone in menu piatti entusiasmanti nella loro semplicità, come i veri strangozzi all’eugubina con pomodoro, panetta e funghi, o le pappardelle con lenticchie, pomodorini, salvia, o gli agnolotti freschi alle castagne su fonduta di caciotta e tartufo bianco di Gubbio. Piatti di sapori ma non esageratamente sapidi, come i ravioli ripieni di broccoletti e porcini o le lasagne alla farina di canapa con carciofi freschi, speck e sristorante la ciacorze di arancia. Dimenticavo gli antipasti, di struggente spessore regionale: i salumi e i formaggio umbri vengono serviti con la crescia calda, appena sfornata, il Bottaccio (pane gratinato al forno con verza, salsicce e formaggi locali) è sorprendente e, quando Pascolini indulge alla creatività, regala emozioni con la zeppola con crema di patate viola e rosso di uovo croccante al tartufo bianco (o nero) di Gubbio. I secondi piatti sono un inno alla tradizione, pur con qualche slancio che non delude: tagliata di vitello al mosto d’uva cotto, fondente di vitello con soffice di patate e verdurine, petto di faraona con foie gras, tartufo bianco e pan brioche. Il capitolo dei dolci ha il suo apice nel ventaglio di crespella farcita con crema alla vaniglia in salsa ai marroni. La cucina di Paolo Pascolini è chiara e netta nel suo sviluppo, tiene conto dei prodotti locali, non ama le microporzioni, è solida e concreta. Ma sa anche misurarsi con una moderata creatività, che non vuole scimmiottare i grandi chef stellati (qui una stelletta non ci starebbe male, a premiare la correttezza della semplicità, valore sempre più raro) ma che ha una sua impronta personale: il lombetto di maiale con pecorino alla canapa all’agro di limone ne è la conferma. Un ristorante, quello di Pascolini, che per la posizione e il numero di coperti, si presta anche a banchetti. Ovviamente, se ne gode meglio la proposta culinaria al di fuori da eventi numerosi: ma è comunque un valore non trascurabile quello di riuscire a “fare numeri” preservando la qualità della linea di cucina, senza asservirsi a facili successi derivanti dalla quantità dei coperti. Riuscire, insomma, a fare l’uno e l’altro, con dignità, correttezza e prezzi onestissimi (esagerando, si raggiungono a fatica i 30 euro di conto, vini esclusi). La carta dei vini contiene tutti i vertici regionali, con una buona selezione di etichette extraregionali.

Via Sant’Ubaldo

06024 Gubbio (Pg)

www.lacia.it

 

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