Si chiama semplicemente Daniel, ed è il nuovo locale aperto poche settimane fa a Milano dallo chef Daniel Canzian. Trentatre anni, Canzian può vantare una importante e formativa collaborazione settennale con e per conto di Gualtiero Marchesi.
Il Maestro Marchesi, cinque anni fa, lo aveva chiamato a dirigere le cucine del suo Il Marchesino, in Piazza della Scala a Milano, oltre a svolgere il compito di Executive chef del Gruppo Gualtiero Marchesi. “Ho imparato molto dal Maestro. Ma ora sento il bisogno di nuovi stimoli”. Canzian spiega così la sua scelta di aprire Daniel: la risposta al bisogno di camminare da solo, mettersi alla prova, guardare oltre l’orizzonte conosciuto. Luminosa, ampia e “storica”, la location prescelta – una ex fabbrica tessile in fondo a via San Marco, all’angolo con Castelfidardo, divenuta famosa negli anni 70 come sede del controverso circolo culturale Macondo di Mauro Rostagno -, ambizioso e innovativo il concept. Canzian infatti ha scelto di affiancare alla classica cucina con forni, fornelli e attrezzature tecnologiche, una seconda area a vista. Posizionata proprio all’ingresso del locale, questa isola gastronomica è in effetti la prima cosa che si nota. Anche perché è animata da cuochi (come Canzian ama definire se stesso e i suoi colleghi) che si muovono danzando attorno a un grande bancone cromato sul quale i piatti provenienti dalla cucina vengono ultimati prima di essere serviti in tavola da altri quattro cuochi, anch’essi con giacca impeccabile, grembiule candido e classica toque. È questo il secondo particolare che – oltre a caratterizzare il locale – attira subito l’attenzione e suscita curiosità. Il motivo dell’insolita scelta di affidare la gestione della sala a chef invece che camerieri? “È un modo per creare un serio e professionale collegamento tra materie prime e fruitori”, spiega lo chef. Vale a dire, avere in sala professionisti in grado di spiegare i piatti ed esaudire le curiosità dei commensali più pignoli e curiosi. Aggiungiamo ora qualche altro dettaglio sull’ambiente: sobrio ed elegante, il locale si sviluppa in lunghezza, rischiarato da numerose finestre che danno su un verde tratto di via San Marco e sullo storico Ponte delle Gabelle. All’insegna dei colori grigio, giallo e blu – scelti da Canzian perché tanto amati da Giò Ponti – oltre ai classici tavoli ne ospita uno lungo e stretto: è quello “dello chef”, pensato per chi va di fretta e/o è solo. Sistemato proprio di fronte alla zona a vista della cucina, chi siede qui viene servito con ciò che i cuochi stanno spadellando al momento. Quindi, a questo tavolo non si ordina né si consulta la carta: semplicemente, ci si affida alla “casa”. Attestato di fiducia ampiamente ricompensato da ciò che arriva nei piatti. Infatti, Canzian non delude: la sua è una cucina che punta a togliere piuttosto che aggiungere, sottraendo cioè ai piatti tutto ciò che appesantisce e confonde invece che esaltare l’elemento e l’ingrediente principale. Le ricette privilegiate da Canzian vogliono rendere spazio e onore alla tradizione italiana grazie anche al tocco personale dello chef. Per il suo esordio proprio nella Milano che questo giovane cuoco veneto ha oramai eletto a propria dimora, ecco ad esempio la capasanta arrostita in versione autunnale con crema di ricotta di bufala e porcini; l’omaggio – espressamente dichiarato in carta – al Maestro Marchesi, ovvero il minestrone alla milanese con verdure, pasta integrale, crostini di pane serviti a secco e bagnati direttamente nel piatto con brodo vegetale e acqua di pomodoro; il tenerissimo petto d’anatra agli agrumi accompagnato da verze arrostite; il meneghino ossobuco di vitello in gremolata con risotto allo zafferano; la stuzzicante anguilla al forno con porri, susine e salsa di vino rosso; e per finire il delizioso dessert con panna cotta, crema di melagrana e sorbetto al dragoncello. A “tutta Italia” anche la carta dei vini, dove compaiono solo etichette nazionali (tranne un’eccezione francese). E con il “diritto di tappo”, ovvero di portarsi da casa la propria bottiglia, a sottolineare il concetto di convivialità e piacere della buona tavola “su misura”. Mentre il menu della sera è appunto alla carta, scandito e servito in modo classico (compresa le tovaglie di lino, e con prezzi che per i menu degustazione vanno da 70 a 80 euro), il pranzo da Daniel vuole essere invece all’insegna della “sana velocità”. È presentato perciò su tovagliette all’americana e composto principalmente da piatti unici che variano ogni giorno, in base a ciò che offre il generoso e ricco mercato milanese. Città che Canzian non smette di lodare: “Ritengo che in Italia Milano sia una delle città più vive e generose per chi vuole lavorare. Sinceramente, dopo cinque anni che ci vivo devo ammettere di essermi innamorato di Milano” dice Canzian, con un delizioso accento veneto, a ulteriore sostegno delle ragioni di un coraggiosa scelta come la sua, ovvero aprire in una zona in profonda evoluzione e cambiamento del capoluogo lombardo, e soprattutto in un momento storico non certo facile. Concludendo con un’ulteriore e personalissima motivazione: “E poi, ho aperto Daniel perché io alle favole ancora ci credo”.
Fiorenza Auriemma
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