Tre stelle a Niko Romito. Lo si sentiva nell’aria. Bene, se le merita tutte, è bravo, capace e serio. Per quello che ancora può rappresentare la Michelin nel panorama italiano e internazionale delle guide gastronomiche (è pur sempre la migliore e la più accreditata), le “tre stelle” fanno la grande differenza con il resto delle cucine testate e valutate. È un valore che, una volta ottenuto, “si porta con sé per sempre”, come ha detto Renata Santin (patronne, con Ezio, della mitica Antica Osteria del Ponte, a Cassinetta di Lugagnano), anche quando un giorno le si dovesse perdere. Fra l’altro, il celebre locale si propone proprio in questi giorni con un nuovo chef , il trentanovenne Silvio Salmoiraghi, dopo una parentesi con un altro grande cuoco, Fabio Barbaglini, che ha poi fatto altre scelte. E, anche se la citazione su Michelin 2014 ovviamente ancora non c’è, fa comunque pensare che, alla voce “Cassinetta di Lugagnano”, nella guida si venga rimandati alla voce “Abbiategrasso”, dove peraltro è segnalato un solo ristorante. Una ingenuità? Un errore di “stumpa”? O forse, si è pensato di tenere buona la citazione di Cassinetta per averla già pronta nella prossima edizione? Lo speriamo. D’altronde, ci siamo abituati a svarioni di diverso genere, soprattutto su altre guide: uno per tutti, il ristorante Alice di Milano, indicato e valutato dalla Guida dell’Espresso 2014, seppur non ancora funzionante nella nuova sede di Eataly (v. in proposito le osservazioni di Valerio Visintin sul blog del Corriere della Sera). Ma non vogliamo infierire ulteriormente, perché, in fondo, chi fa sbaglia. E il rischio di errore non deve oscurare la positività del lavoro di professionisti. Lo dico senza ironia. Così come, tutto sommato, si puo’ capire il fatto che la nuova Michelin abbia quasi completamente ignorato Milano, una città in grande fermento, nella quale di cose ne succedono non poche. Ma forse quanto accade in città non merita l’interesse di una guida che, per quanto riguarda Milano, è piuttosto statica e ripetitiva. È vero, nella metropoli lombarda apre una “hamburgeria” al minuto, si mangia carne (e pesce crudo) -non sempre “abbattuto”- ad ogni angolo di strada, si ingollano focaccine “tipo Recco” sui marciapiedi della città (a chi non è mai capitato?), aprono locali non meglio definiti o definibili in cui si servono aperitivi rinforzati letteralmente devastanti… Tutto vero. Ma è altrettanto vero che, in questo mondo che cambia velocemente, ogni formula merita attenzione e, se possibile, rispetto. Perché allora la guida rossa ignora Milano o, meglio, la mette in standby? Troppa confusione, troppo lifestyle, troppi locali per “vedere e farsi vedere”, potrebbe essere la silente e prevedibile risposta degli ispettori Michelin. Eppure, nell’ultimo anno hanno aperto realtà interessanti e prestigiose, spesso con ubicazioni strepitose e modaiole, guidate da cuochi di valore ed esperienza. Forse per Michelin non sono abbastanza connotate da professionalità, qualità degli ingredienti, ricerca, stile? Fatte le debite eccezioni (peraltro confermate da stelle e forchette), la ristorazione milanese secondo Michelin sembra non emergere per qualità di materie prime e genialità esecutiva. Condivisibile solo in parte, secondo noi, la esclusione di Milano (o meglio, l’assenza di segnalazione di novità significative): un laboratorio di idee ( e di investimenti importanti!) meriterebbe forse un approccio meno distratto. Difficile poi non comprendere il fatto che, in numero significativo, cresca la schiera di quanti, dimenticati, ignorati, esclusi, facciano a meno delle guide, ritenute (spesso erroneamente, talvolta a ragione) espressione di verifiche distratte o benevolenti (ma non è certo il caso di Michelin) o di colpevoli omissioni, dettate –credo- da mancanza di capillarità delle “ispezioni”. Il dibattito, come si dice, è aperto.
Alberto P.Schieppati
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