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Di Alberto P. Schieppati

Sul concetto di ragionevolezza nella ristorazione abbiamo scatenato una serie incredibile di prese di posizione. Fra gli chef, nel mondo delle aziende, da parte di chi si occupa di comunicazione. Soprattutto a favore, e questo ci fa piacere, della necessità di affrontare i mercati all’insegna, appunto, del buon senso. Già, ma che cosa intendiamo per ragionevolezza? Secondo alcuni (che fraintendono il concetto o tendono a svilirlo) si tratterebbe di un altro modo di definire il rapporto fra “prezzo e qualità”, tanto amato dalla cultura anglosassone, salvo poi scoprire che a prezzi bassi (o troppo bassi) difficilmente può corrispondere un’offerta di qualità adeguata (anche se siamo disponibili come sempre ad affrontare l’argomento in chiave di marketing, prevedendo le obiezioni). La ragionevolezza secondo Artù non è un sinonimo del price for value, ormai, diciamolo, trito e ritrito. E anche, forse, insensato, quando non si dà alla qualità un valore economico preciso, un benchmark di riferimento da cui non prescindere. La ragionevolezza è un valore, che esprimiamo attraverso i nostri contenuti e i nostri comportamenti. Per essere più chiari, va detto che a noi interessa la qualità autentica dell’offerta, ovvero: l’attenzione estrema verso le materie prime, l’intelligenza delle cotture, la coerenza delle voci in menù, la stagionalità e la territorialità, quando è possibile, la certezza delle origini. Ma anche il rispetto del cliente, l’impegno totale in cucina e in sala, lo stile del ricevere, la congruità (che non equivale all’economicità) dei prezzi. E, sopra tutto, la BONTÀ dell’esperienza complessiva. In questo numero di Artù, la cui Cover è dedicata a Davide Oldani (un maestro della cucina popolare) che ha aperto il suo nuovo D’O, troviamo molti esempi di quella ragionevolezza che tanto amiamo, al punto di dedicarle questo editoriale. Gianfranco Bolognesi, storico patron della Frasca di Castrocaro, in Romagna, amava parlare del “lusso della semplicità”, sottintendendo che i sapori, il gusto, la freschezza di una linea di cucina potevano essere, allo stesso tempo, semplici e lussuose. E, sempre da quelle parti, Paolo Teverini sottolineava la necessità di essere ragionevoli verso il cliente. Nel senso della autenticità di quanto gli si serve, aggiungeva. Come dire, il secreto iberico (un taglio di carne di maiale allevato a Salamanca) costa meno, ma incredibilmente meno, della pregiata carne giapponese di manzo Wagyu, famoso per la sua tenerezza. Ma entrambi i prodotti sono sinonimo di qualità, seppure di valore diverso ma ugualmente percepiti come oggetto di un’esperienza gusto-sensoriale in cui la qualità è la protagonista assoluta. Qualità che deriva innanzitutto dalla capacità nel selezionare la materia, nel non rovinarla in alcun modo, nel preservarla fino alla destinazione finale: il piatto del cliente e la sua soddisfazione totale. Aimo Moroni è stato grande, fin dagli anni Ottanta, nell’affermare questo concetto di “semplicità e origine” delle materie prime. Una ricerca che comporta fatica, passione, energia, tempo. Ma che dà grandi risultati e appaga il cliente gourmet o semplice appassionato. Ragionevolezza è anche questo: lo Spaghettone cacio e pepe con battuta di triglia di scoglio, proposto da un altro protagonista dei contenuti di questo Artù, Alfonso Crescenzo, è un piatto ragionevole, che sa abbinare alla consistenza di una grande pasta di grano duro la bontà del pecorino crotonese dop semistagionato e la delicata triglia di scoglio del Golfo di Squillace. Piatti ragionevoli, creati grazie a passione e studio, che bene esemplificano quel concetto di buon senso che vi farà dire: non li mangio tutti i giorni, ma quando desidero mangiare bene, so cosa scegliere. Ricordando le parole di Mauro Defendente Febbrari, grande esperto di nutrizione, che ci ricorda come “si debba mangiare solo quando ne vale veramente la pena”. Mai sprecare tempo in cose inutili (e dannose). Un insegnamento di cui tenere conto. In nome della ragionevolezza, appunto. E delle emozioni che ci può dare.

© Artù

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