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Secondo Michelin, che premia con dcoronacervelloue forchettine questa trattoria storica, il locale è “un classico della ristorazione monferrina, che da anni propone gli immutabili piatti che ci si aspetta di gustare in Piemonte. Gli ambienti sono rustici e l’atmosfera calda. La corte interna ospita camere accoglienti e ben accessoriate”. Stop. La sintesi, necessaria agli ispettori della “rossa”, purtroppo non rende pienamente onore a questo luogo che è un luogo speciale, un crocevia di emozioni che tolgono il respiro, uno spazio di cui innamorarsi perdutamente.

locale_01_bannerI Bologna è un esempio unico di alta cucina, frutto di un affiatamento familiare che, come se fossimo ogni volta alla prima di un concerto, esprime genio, costanza, audacia, rispetto autentico per le tradizioni, intese come concretezza e continuità ai massimi livelli. Gli agnolotti del plin, preparati ogni santo giorno, dalle mani della Mariuccia, moglie di Carlo Bologna che accoglie, propone grandi vini e intrattiene gli ospiti con storie di vita vissuta, sono un must inimitabile, che non a caso dovrebbero essere inseriti a pieno titolo fra i “patrimoni dell’umanità”. La (straordinaria) variante di questa pasta ripiena, da qualche tempo proposta anche con pieno di cinghiale, sorprende e conferma che la strada maestra è sempre quella dell’alta qualità, delle materie prime, delle tecniche e delle esecuzioni. Ed è Beppe Bologna, figlio di Mariuccia e Carlo, che persegue da anni una filosofia di cucina fantastica, corretta e coerente, semplice e incisiva, senza sbavature, che porta diritto al cuore del gusto, al centro dei sapori, con pienezza, struttura, rotondità. La Tartare di fassona cruda tagliata al coltello provoca assuefazione, il Vitello tonnato è perfetto e così buono è raro a trovarsi altrove, i Tajarin (tirati a mano nella emozionante cucina a vista) strepitosi, anche nelle versioni più creative, come con il pomodoro e il basilico fresco. L’orto, nella gAgnolotti del plin I Bolognaraziosa corte dietro al ristorante, conforta il bisogno di freschezza e agevola l’offerta di piatti salutari (ma non salutistici perché, come dice simpaticamente Carlo alle clienti che chiedono timidamente un’insalatina mista, “di insalata nel Tanaro ne trova quanta ne vuole”!). L’ultima visita da I Bologna risale a un mezzogiorno dello scorso aprile e ha riservato altri piatti di semplicità estrema, suggeriti al tavolo da Cristina, moglie di Beppe, tanto brava quanto cortese e preparata in materia gastronomica: gli Asparagi selvatici con uovo di quaglia sono un esempio eclatante di come si possano fare grandi piatti con materie prime povere ed essenziali. Il pranzo, gradevolmente interrotto dall’arrivo in sala di un altro artefice di “cose buone”, Mario Fongo (a cui si devono formidabili grissini e lingue di suocera, prodotti artigianalmente nella panetteria a pochi metri di distanza dai Bologna), è proseguito con altri assaggi dalla carta primaverile: Fegato di coniglio all’aceto balsamico tradizionale, Capretto di langa arrosto, le classiche Costate di fassona. I dolci, frutto dell’esperienza collettiva di famiglia, sono altrettanto importanti per sapori e presentazioni: il Tiramisù in tazza, una sorta di cappuccino, e il classico Bunét, con nocciola, cacao o limone. Dai Bologna non esiste menù scritto, né carta dei vini (o meglio, esiste perché la legge lo pretende, ma non necessariamente viene presentata al tavolo): per i piatti parlano la gentilezza e la sapienza di Cristina, per i vini può bastare la piccola, suggestiva cantina attigua alla sala e la grande cantina, la mitica azienda agricola Braida creata dal grande Giacomo Bologna, fratello di Carlo, inventore della Barbera (due nomi per tutti: Bricco dell’Uccellone e Monella) che hanno dato celebrità nel mondo al rosso vitigno piemontese. Ultimo particolare: l’onestà della Casa e nel dna di famiglia. Una cena memorabile non supera la cifra di 50 euro. Di Alberto P. Schieppati

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