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di Alberto P. Schieppati

Elio Sironi, executive del ristorante, manda in visibilio con i suoi piatti strepitosi. La cucina e il luogo, una volta provati, fanno solo venire voglia di ritornarci.

Per anni ho “predicato” contro i locali alla moda, come un vecchio brontolone. Luoghi, anche belli, in cui la qualità della cucina, le materie prime, il servizio, erano solo un complemento (spesso pleonastico) alla forza della location, all’impronta trendy delle gestioni, alla tipologia dei frequentatori, magari antipatici ma alto-spendenti. Pura questione di business, insomma. Al Ceresio 7 ho dovuto ricredermi, arrivando addirittura a ribaltare una percezione errata, in molti casi figlia di diffidenze e di analisi datate. In questo spazio sopra il cielo di Milano, fra la zona Garibaldi e la zona Sempione, glamour e estetica vanno di pari passo con lo stile e la qualità dell’offerta: 02b _MG_5380vera, concreta e trasparente. Questo Ceresio 7 Pools & Restaurant è una destinazione che dà molto di più di quanto uno si aspetti, aldilà di ogni previsione. Il segreto sta lì, nell’offrire un ventaglio di proposte, di sensazioni, di atmosfere che danno il senso dell’autenticità, dell’esperienza irripetibile, di qualcosa che sta a metà strada fra il desiderio e il sogno. In pochi locali ho provato una sensazione simile (al Dry, per esempio, dove Guglielmo Miriello, con la sua calma zen, atarassica e vigile, gestisce una clientela super-esigente, o al Mio Bar dell’Hyatt, dove Nicola Ultimo, il maestro, sovrintende il grande teatro dei consumi di fascia alta con sapiente attenzione ai particolari). Pochi posti, almeno in Italia, danno questo senso di contemporaneità, di “essere dentro al movimento delle cose”. D’altra parte, nessuno si sarebbe mai 05 risto copiaaspettato che il vecchio, grigio palazzo dell’Enel si sarebbe trasformato in un esempio così innovativo di architettura contemporanea, “inventando” uno spazio dall’interior design caratterizzato da preziosità e stile. Il progetto di Ceresio 7 nasce dalla volontà di proporre, in una cornice internazionale e connotata da un design e da un aspetto estetico di alto livello, una linea di cucina solida, strutturata e ben identificabile per gusto, sapori, ingredienti, equilibrio. “Tutto ciò si realizza a Milano, in questo spazio in cui mangiare all’insegna dell’eccellenza, in un’atmosfera unica, informale, ma di grande classe” sottolinea Edoardo Grassi, un approccio al cliente, il suo, fatto di stile e sapienza, frutto di doti naturali e di esperienze internazionali (una per tutte, il ristorante Windows dell’Hyde Park di Londra), affiancato nell’impresa, partita due anni or sono, dallo chef Elio Sironi, da Marco Civitelli e da Luca Pardini. “Ceresio 7 nasce dall’idea di riproporre Elio Sironi al pubblico milanese, con la grande chanche di 02 PC8_3004rivoluzionare i canoni ormai consolidati dell’offerta gastronomica milanese”, aggiunge Edoardo. Ceresio 7 vive tutta la giornata, offrendo ai clienti un’atmosfera rilassante, avvalorata da un roof garden con due piscine scoperte che si affaccia su Milano e consente di delinearne i contorni, dai grattacieli più recenti fino alle testimonianze storiche del vecchio reticolo urbano del quartiere: un panorama mozzafiato. Lunch in terrazza, aperitivo bordo piscina o, la sera, all’American Bar, con i drink della scuola internazionale e i twist con prodotti italiani (bitter, infusioni, amari, aperitivi del secolo scorso). Appetizer eccellenti, all’altezza dei drink, uno sopra tutti: la semplice ma intensa focaccia calda con mortadella al pistacchio. Poi la cena, con i grandi piatti di Sironi, e il dopocena nella Cigar Room, con una fantastica selezione di distillati “last drop”, per chiudere la serata. L’offerta di Ceresio 7 è completa, al punto che richiederebbe, detto03_MG_4199 senza polemica, un approccio più trasversale da parte della critica, che si ferma a definire la proposta di ristorazione di Sironi connotata da “una cucina che rispolvera, modernizzandoli, i grandi piatti della cucina italiana”. Siamo d’accordo, ma i piatti di Elio Sironi meritano qualche parola in più, o no? Facciamo qualche esempio, provato di persona a fine febbraio: il Carpaccio di dentice crudo con bottarga è di rara bontà, la Capasanta con scaloppa di foie gras indimenticabile, i Ceci rossi di Norcia, tortellini con mais e baccalà,  strepitosi per bellezza e bontà (e usiamolo ‘sto termine: bontà!), per non dire dei Vermicelli con verza stufata e salsa “gricia”, voci presenti in carta che compongono un mosaico perfetto, senza eccessi, né sbavature di impronta “rivisitatrice” (non se ne può più di “chiave moderna” ecc…). Un altro piatto al quale bisognerebbe inchinarsi, perché nasce da una analisi onesta delle aspettative gustative di una clientela contemporanea, è la Ricciola con carciofi e caprino caramellato: piatto armonioso, che trasmette serenità e appaga senza stupire. Questa, credo, sia la vera forza di Elio: non cercare l’applauso a tutti i costi, non accelerare sulle futili aspettative spettacolari ma puntare dritto e deciso su quel “bisogno di buono” che aleggia, spesso inespresso e male interpretato, nella società contemporanea. Bravo Elio. Ancora, cito a memoria dalla carta:  Salmone al fegato d’oca, blinis di caprino e mango, Gamberi di Sicilia crudi, finocchi arancia e cioccolato, Tartare fine di manzo, Rafano e capasanta alla piastra; Vermicelli arrabbiati, broccoli e tartare di scampi, Ravioli ripieni con tartare di vitello, n’duja, capperi e limone; Rombo e spinaci al sesamo, fumetto al pinot bianco, Spigola e carciofi, aneto e purée di topinambur, Agnello del Dorset, rape rosse, prugne e fondente di pecorino04 Immagine3 copia; Castagne e cachi gianduia e sorbetto al melograno, Tiramisù “distratto”, pistacchi caffè e fior di sambuco. Mi fermo perché non mi piace scivolare in un’elencazione che rischierebbe di apparire pedissequa: preferisco soffermarmi su quello che ritengo essere il valore aggiunto di Elio Sironi e della sua cucina. Vale a dire: la capacità, legata evidentemente al talento di questo cuoco cinquantenne, brianzolo di Casatenovo (in provincia di Lecco), patria dei Vismara (quelli del salumificio), nel rendere le materie prime protagoniste di ogni singola emozione gustativa. Piatti, insomma, che fanno dire “wow” senza bisogno di essere sezionati, senza che vi sia la necessità di analisi o indagini suppletive (che amano tanto fare certi critici gastronomici incapaci di godere) ma che esprimono se stessi a tutto tondo, nella loro dignità di piatto diretto, senza quelle complessità tortuose, degne di esercizi masochistici. Ovvio dunque che sia la qualità assoluta degli ingredienti e l’uso di tecniche di cottura tradizionali a fare la parte del leone in cucina: perché i sapori devono essere trasmessi con fedeltà alle origini, senza anacronismo ma co07 _MG_3287n grande rispetto del tempo. Dunque, Elio Sironi interpreta solo se stesso, pur avendo amori e maestri: già dai tempi della sua presenza al Bulgari, sempre a Milano, di lui avevo colto la tenace e caparbia capacità di personalizzare i piatti in chiave di consistenza e struttura. Il tempo, le esperienze, sorrette da una curiosità totale e da un’intelligenza inquieta e lungimirante, ne fanno oggi uno dei miei cuochi preferiti. Anche il capitolo vini, come la cucina, si fonda sulla valorizzazione di etichette di alto valore qualitativo, fuori dalla “cupola” che domina gran parte della scena ristorativa milanese: alla base, come conferma – a nome del gruppo di lavoro del Ceresio 7 – Edoardo Grassi, la volontà di ricerca di prodotti “da poter raccontare, scoprire e far scoprire, privilegiando dove possibile le uve storiche e più vocate per ogni territorio produttivo”. Chapeau, anche per i ricarichi: intelligenti, onesti, rispettosi.

© Artù

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