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deep-frying-foodsA giudicare dalla quantità di nuove aperture di attività commerciali, sembrerebbe che, in Italia, la ristorazione (in senso lato) sia ormai il vero business del presente e del futuro. Quantomeno nelle grandi città, dove l’odore penetrante dell’olio (non extravergine di oliva, spesso alla settima frittura) pervade ormai interi quartieri, trasformatisi in breve tempo in vere e proprie food court, che ammanniscono pollo fritto, patatine olandesi, pizza al trancio, hamburger e quant’altro. Dunque, accantonata (temporaneamente?) l’ipotesi i di trasformare l’Italia in un gigantesco wine-bar (i consumi interni non lo consentono, meglio puntare sull’export verso i paesi emergenti), l’imprenditorialità nostrana punta decisamente sul food, in tutte le sue varianti e in tutti i format possibili: ristoranti gourmet con tanto di chef da esibire, etnico di lusso, biodinamico, vegano, ma anche steak house più o meno “extreme”, friggitorie, cinesi travestiti da giapponesi (oltre duemilacinquecento insegne, solo a Milano) e molto, molto altro. Una specie di giungla, in linea con il nuovo global asset dell’offerta di ristorazione nel mondo, ma anche frutto di investimenti “interni”, spesso gestiti da organizzazioni di dubbia legalità. In un modo o nell’altro (di riffa o di raffa, direbbe qualcuno) le cose vanno avanti, fra acquisizioni, finanziamenti, affitti di ramo d’azienda ecc… La sensazione è che la società vada rapidamente trasformandosi in una mangiatoia a cielo aperto, complice lo street food che dilaga senza limiti. Pensavamo forse di poter continuare a baloccarci con i nostri spaghetti al pomodoro, per non dire delle mitiche “fettuccine Alfredo” che hanno egemonizzato per decenni la scena della nostra offerta ristorativa all’estero? O di ammannire per l’eternità fave pecorino e un buon bicchier di vino? Diamine, i tempi cambiano… Eppure, eppure…. La parte di mondo che passa di qui vorrebbe mangiare cibo italiano vero, arriva fin qui in cerca di piatti autenticamente espressivi di un territorio, oltre che della genialità e bravura di chi li cucina e li propone. Troppo spesso ci dimentichiamo che il made in Italy nel mondo, dopo anni di contraffazioni e truffe ad opera di abilissimi imitatori (e con la complice acquiescenza delle istituzioni), è sempre più ambito ed attuale. E chi viene in Italia, per turismo o business (o per l’Expo ormai avviata), cerca italianità, correttezza culinaria, gusto e sapori semplici, che siano il più possibile veri, percepiti come italiani al 100% e non solo volgarmente somiglianti. Chi cerca il gusto e i sapori italiani, dopo magari esserseli immaginati per anni, desidera trovarli e si augura che siano quelli giusti, supportati da una scelta delle nostre migliori materie prime, dalla nostra capacità di offrire piatti leggeri e armonici e non volgari accozzaglie di ingredienti che si confondono l’un con l’altro. Mi capita talvolta di vedere servite, al momento dell’aperitivo, schifezze inguardabili, che riempiono oscenamente piattini di plastica, stracolmi di batteri, salsine, conservanti. Che tristezza. Come ha ragione Gualtiero Marchesi quando, sconsolato, dice che in Italia oggi “cucina non fa rima con cultura”. Riusciranno i nostri interpreti più bravi a invertire una tendenza che pare inarrestabile e a risalire la china? Ne sono convinto, a due condizioni: la prima, che alla supremazia mediatica degli chef televisivi si sostituisca il valore del lavoro quotidiano, della cultura delle materie prime, del sapere lavorare in squadra. La seconda, che chi fa informazione riprenda a lavorare seriamente, collaborando attivamente con i professionisti più bravi e fornendo contenuti degni di questo nome, rifuggendo da gossip e vacuità. Da parte nostra, abbiamo scelto di lavorare con un gruppo di chef coraggiosi (come quelli di Chic, per esempio), consapevoli che il made in Italy di qualità nel mondo sarà l’ancora di salvezza, purché qui, a casa propria, si lavori duramente sul fronte della responsabilità e dei valori, lontano da rumors e chiasso inutile. Per arrivare a stabilire la effettiva supremazia della cucina italiana. Alberto P. Schieppati

© Artù

One Comment

  • Ines Di Lelio ha detto:

    STORIA DI ALFREDO DI LELIO, CREATORE DELLE “FETTUCCINE ALL’ALFREDO” (“FETTUCCINE ALFREDO”), E DELLA SUA TRADIZIONE FAMILIARE PRESSO IL RISTORANTE “IL VERO ALFREDO” (“ALFREDO DI ROMA”) IN PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE A ROMA
    Con riferimento al Vostro articolo ho il piacere di raccontarVi la storia di mio nonno Alfredo Di Lelio, inventore delle note “fettuccine all’Alfredo” (“Fettuccine Alfredo”).
    Alfredo Di Lelio, nato nel settembre del 1883 a Roma in Vicolo di Santa Maria in Trastevere, cominciò a lavorare fin da ragazzo nella piccola trattoria aperta da sua madre Angelina in Piazza Rosa, un piccolo slargo (scomparso intorno al 1910) che esisteva prima della costruzione della Galleria Colonna (ora Galleria Sordi).
    Il 1908 fu un anno indimenticabile per Alfredo Di Lelio: nacque, infatti, suo figlio Armando e videro contemporaneamente la luce in tale trattoria di Piazza Rosa le sue “fettuccine”, divenute poi famose in tutto il mondo. Questa trattoria è “the birthplace of fettuccine all’Alfredo”.
    Alfredo Di Lelio inventò le sue “fettuccine” per dare un ricostituente naturale, a base di burro e parmigiano, a sua moglie (e mia nonna) Ines, prostrata in seguito al parto del suo primogenito (mio padre Armando). Il piatto delle “fettuccine” fu un successo familiare prima ancora di diventare il piatto che rese noto e popolare Alfredo Di Lelio, personaggio con “i baffi all’Umberto” ed i calli alle mani a forza di mischiare le sue “fettuccine” davanti ai clienti sempre più numerosi.
    Nel 1914, a seguito della chiusura di detta trattoria per la scomparsa di Piazza Rosa dovuta alla costruzione della Galleria Colonna, Alfredo Di Lelio decise di trasferirsi in un locale in una via del centro di Roma, ove aprì il suo primo ristorante che gestì fino al 1943, per poi cedere l’attività a terzi estranei alla sua famiglia.
    Ma l’assenza dalla scena gastronomica di Alfredo Di Lelio fu del tutto transitoria. Infatti nel 1950 riprese il controllo della sua tradizione familiare ed aprì, insieme al figlio Armando, il ristorante “Il Vero Alfredo” (noto all’estero anche come “Alfredo di Roma”) in Piazza Augusto Imperatore n.30 (cfr. http://www.ilveroalfredo.it).
    Con l’avvio del nuovo ristorante Alfredo Di Lelio ottenne un forte successo di pubblico e di clienti negli anni della “dolce vita”. Successo, che, tuttora, richiama nel ristorante un flusso continuo di turisti da ogni parte del mondo per assaggiare le famose “fettuccine all’Alfredo” al doppio burro da me servite, con l’impegno di continuare nel tempo la tradizione familiare dei miei cari maestri, nonno Alfredo, mio padre Armando e mio fratello Alfredo. In particolare le fettuccine sono servite ai clienti con 2 “posate d’oro”: una forchetta ed un cucchiaio d’oro regalati nel 1927 ad Alfredo dai due noti attori americani M. Pickford e D. Fairbanks (in segno di gratitudine per l’ospitalità).
    Desidero precisare che altri ristoranti “Alfredo” a Roma (come Alfredo alla scrofa o Alfredo’s gallery) non appartengono alla mio brand “Il Vero Alfredo”.
    Vi informo che il Ristorante “Il Vero Alfredo” è presente nell’Albo dei “Negozi Storici di Eccellenza – sezione Attività Storiche di Eccellenza” del Comune di Roma Capitale.
    Grata per la Vostra attenzione ed ospitalità nel Vostro interessante blog, cordiali saluti
    Ines Di Lelio

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