È vero, San Mamete esiste ed era anche il Patrono di Mese, il paese della Val Chiavenna che ha dato i natali al protagonista di questa storia. Tuttavia non si può negare che sia un nome curioso, unico, originale, e che incute anche un certo timore reverenziale. Un nome d’altri tempi che invece sta sulle spalle del personaggio che più d’ogni altro ha saputo interpretare in maniera moderna il mestiere di vignaiolo in un territorio così difficile e per molti versi legato alla tradizione come la Valtellina. L’ultima impresa di Mamete Prevostini, al secondo mandato anche come presidente del locale Consorzio di Tutela Vini, è culminata pochi giorni fa con l’inaugurazione ufficiale della nuova cantina costruita a Postalesio, non molto distante dalle vigne del Sassella, la prima sottodenominazione a Docg del Valtellina Superiore che si incrocia risalendo la valle. Mamete “l’eretico”, unico produttore di Valtellina con cantina in Valchiavenna, corona così la sua maturità produttiva proprio nella diciottesima vendemmia vissuta da protagonista. Le prime bottiglie che portano la sua firma risalgono infatti al 1995, e tutto si svolgeva in quel di Mese, nella cantina del Crotasc, il crotto di famiglia che la nonna Maria con grande spirito di intraprendenza aveva aperto alla ristorazione già nel 1928 (l’insegna è ancora adesso, sempre gestita dai Prevostini, una delle più affidabili della valle). In realtà il giovane Mamete, cresciuto alla scuola del nonno e poi del padre, aveva iniziato a sperimentare la produzione di un suo vino già qualche anno prima, alla fine degli anni Novanta. Non di nascosto ma solo supportato dal padre, aveva trovato lo spazio dove piazzare le prime tre-quattro barriques. Ecco la prima e più grande eresia, quella che lo avrebbe accompagnato negli anni a venire: non s’era mai vista in Valtellina una cantina senza enormi contenitori in legno dove far maturare a lungo quel vino che per sua natura abbisognava di lunghissimo affinamento per donarsi al piacere della beva. Comunque la si pensi, e quale sia il grado personale di apprezzamento di uno stile rispetto ad un altro, la storia ha poi dimostrato che si possono ottenere eccellenti risultati anche applicando dalla vigna alla cantina procedure e tecniche diverse da quelle dettate dalla tradizione. In tutti questi anni i Valtellina di Mamete Prevostini botti di grandi dimensioni non ne hanno mai viste, solo barriques, con un uso che è andato equilibrandosi con il passare degli anni, ma mano che la batteria si è fatta più consistente e variegata nei passaggi fino a raggiungere la dotazione standard attuale di 800 barriques da nuove fino al 5°- 6° passaggio (Mamete destina il 3°, che ritiene l’ottimale, ai vini dei cru della Sassella, Sommarovina e San Lorenzo). Così le macerazioni, un tempo lunghissime, si sono accorciate ad un settimana, massimo una decina di giorni, con svinatura che deve essere immediata – e perciò durante le fasi di vinificazione si fanno i turni in cantina anche di notte – per cogliere l’equilibrio estrattivo delle sostanze polifenoliche, passaggio importantissimo per ottenere vini che acquisiscano spontaneamente piacevolezza ed al tempo stesso sappiano esprimere tutto il loro potenziale di affinamento. Dunque, chi si porta dietro una storia così, per certi versi rivoluzionaria e che si sintetizza nel motto “non si può pensare di cambiare le cose se si fa come si è sempre fatto”, non poteva accontentarsi di realizzare una cantina convenzionale, infiocchettandola con elementi che non fossero funzionali agli obiettivi che si prefigge, quello di pensare e produrre il vino applicando i concetti della qualità globale. Dopo aver scelto il sito ideale per giacitura ed esposizione, i lavori si sono protratti per tre anni seguendo il rigido protocollo che ha portato alla certificazione di CasaClima Wine, primo esempio nel suo genere in Lombardia. Tremila metri quadri coperti suddivisi su tre piani, ciascuno progettato per una specifica funzione al fine di movimentare il meno possibile, ed in maniera naturale, per caduta, sia i mosti che i vini. “La nostra filosofia è molto semplice – ha affermato Mamete Prevostini all’inaugurazione che ha richiamato nella sua nuova cantina una moltitudine di amici – trasferire la naturalità del processo di maturazione dell’uva che avviene sui nostri terrazzamenti anche nelle pratiche enologiche. Rispetto dell’ambiente e sostenibilità non a parola ma in tutti gli accorgimenti tecnologici atti ad ottenere l’obiettivo finale che è l’integrità dei vini”.
Essendo figlio (e nipote) di ristoratori della Valchiavenna, Mamete Prevostini ha respirato l’aria del mondo del vino sin da piccolo. Il Crotasc, insegna che negli anni si è evoluta e raffinata diventando uno dei ristoranti migliori di tutta la Valtellina, è stata la sua prima scuola. La seconda, quando già aveva deciso che la ristorazione non faceva per lui, è stata quella di enologia a Conegliano. La terza, dopo il diploma, i tre anni trascorsi a fare esperienza alla Nino Negri di Chiuro. Una laurea sul campo messa a frutto nella sua nuova cantina dove vengono vinificate le uve raccolte nel cuore enologico della Valtellina, prevalentemente nella zona della Sassella. Mamete Prevostini ha messo insieme negli anni circa sette ettari e mezzo di vigneto di proprietà; le altre uve, altri quindici ettari all’incirca (per un totale di uve pressate che si aggira sui 1800 quintali l’anno) provengono da piccoli viticoltori che vengono seguiti e consigliati sulle pratiche viticole. Complessivamente la cantina produce circa 150mila bottiglie per vendemmia, suddivise nelle varie tipologie di Valtellina a DOC e Valtellina Superiore a DOCG. Su tutti eccelle lo Sforzato Albareda ma il vino simbolo dell’azienda può essere considerato il Valtellina Superiore DOCG Corte di Cama, prodotto per la prima volta nel ’90. Meno potente e maestoso rispetto allo Sforzato Albareda, ma molto gradevole, armonico ed equilibrato. Nasce da una tecnica che Mamete Prevostini ha sposato fin dall’inizio della sua attività di vinificazione: quella del rigoverno o ripasso, resa possibile anche per il gran quantitativo di nebbiolo che la cantina è in grado di stoccare per l’appassimento – tra i 700 e gli 800 quintali – in locali idonei e funzionali. Una parte delle uve vengono lasciate in appassimento per circa due mesi prima di essere pigiate. Il mosto ottenuto viene aggiunto al vino già fatto subito dopo la vendemmia, così da ottenere quel “rinforzo” che lo caratterizza. Seguono una quindicina di mesi di affinamento in barriques ed un anno in bottiglia. Non da meno i due cru del Sassella che meritano la Riserva, il Sommarovina ed il San Lorenzo che affinano in barriques per un anno e più, e poi raggiungo un’invidiabile equilibrio dopo un ulteriore anno di sosta in bottiglia prima della commercializzazione. Una doverosa citazione lo merita lo straordinario vigneto di traminer aromatico e riesling di Palazzo Vertemate a Piuro sulla strada per l’Engadina. Un clos, lo chiamerebbero i francesi, da cui nasce un eccellente bianco dolce passito.
Prevostini al Kronenhof
È noto che la sosta gastronomica in quel di St. Moritz e dintorni è piuttosto rischiosa per il portafoglio. Non mancano le eccezioni a questa regola e per provare una buona esperienza gastronomica in un locale di grande fascino con prezzi abbordabili, l’insegna che ci sentiamo di consigliare è quella della Kronehofstubli dell’omonimo albergo 5 stelle di Pontresina, il più antico (le fondamenta risalgono al 1848) della località posta dinnanzi alla Val Roseg ed al suo imponente ghiacciaio. Recentemente la nuova proprietà, dopo averlo ristrutturato completamente ed aver allestito una SPA da sogno (aperta anche agli esterni), ha ripristinato l’antica cantina della famiglia Gredig che aprì l’albergo grazie ai proventi dell’attività di importazione del vino di Valtellina nei Grignoni. Per rilanciare il vino Strata, nome ripreso dalle pietre miliari che segnalano il percorso attraverso il Bernina, il Grand Hotel Kronenhof si è affidato proprio a Mamete Prevostini, il più moderno interprette della vitivinicoltura valtellinese. Ottimi vini, i rossi in particolare, con lo Sforzato in naturale evidenza che si accompagna mirabilmente ai piatti di carne che dominano la scena nella lunga stagione invernale (l’anatra al torchio è un must da grand gourmet). Da pochi giorni allo chef Bernd Schutzlehofler, origini austriache e scuola internazionale, cui va ascritto il merito di avere conquistato la stella Michelin, è subentrato Fabrizio Piantanida, italiano della Val Vigezzo, trentotto anni, diplomato presso l’Istituto alberghiero di Domodossola. Con importanti esperienze nell’ambito dell’hôtellerie di lusso europea, Fabrizio Piantanida sovrintenderà le proposte di alta cucina di tutte le sedute gastronomiche del Kronenhof, dal Grand Restaurant ospitato nella magnifica e storica sala affrescata, a Le Pavillon, espressamente dedicato agli ospiti della SPA, al Rondelle riservato invece ai piccoli ospiti, per finire naturalmente con il Kronenstübli. Un ritorno al massimo livello di chef-executive il suo, dacché per diversi anni aveva calcato da aiuto le medesime cucine, dividendosi tra il Kronenhof ed il Kulm, l’altro prestigioso hotel di St. Moritz che fa capo alla medesima proprietà. Le solide basi classiche, indispensabili quando si lavora con la clientela internazionale, sono implementate dal tocco mediterraneo per una cucina che d’ora in poi avrà tratti più italiani, senza eccessi di elaborazione e rispettosa dei gusti primari delle materie prime. Mano salda sulle paste fresche, farcite o condite, i risotti, persino sulle zuppe di pesce, che andranno ad accompagnare piatti come il minestrone di codino di bue con ragout e midollo di vitello grigliato, l’agnello cotto nel fieno con rollata di semolino, porro stufato e soufflè bicolore, mousse al cioccolato all’olio extravergine di oliva e variazione di frutti di bosco. Cucina di gran classe – così come il servizio – in antica stube con legni originali. Tutte le info su www.kronenhof.com
Elio Ghisalberti
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