#ragionevolezzacontroilvirus
Gian Piero Vivalda
Fra appelli alla calma e inviti a starsene chiusi in casa, fra economia al collasso e diffusione progressiva del virus, BARtù ritiene corretto dare la voce ai propri lettori, nel nome della ragionevolezza: professionisti che si sono ritrovati all’improvviso nella condizione di dover cessare temporaneamente la propria attività, anche in virtù dei decreti governativi che puntano a ridurre i contagi nell’arco delle prossime settimane. La nostra speranza è che questo obiettivo possa essere raggiunto in un tempo ragionevole e breve, che consenta la riapertura delle attività e la ripresa dell’economia
Giorno dopo giorno intervistiamo i grandi operatori della ristorazione italiana, tra chef, sommelier, bartender, operatori dell’hotellerie, per intervistarli su cosa pensano del decreto che ha chiuso i loro ristoranti per il contenimento del Coronavirus e quale possa essere il futuro della ristorazione italiana: la parola a Gian Piero Vivalda, 2 stelle Michelin all’Antica Corona Reale di Cervere (Cuneo).
La ristorazione è ferma in seguito al decreto ministeriale che ordina la chiusura di tutte le attività non strettamente necessarie. Pensi che lo Stato ti aiuterà alla fine di questo periodo? In che modo?
Il mio AtelieReale di panificazione non si è fermato: in ottemperanza alle normative stiamo producendo le Colombe (una media di 150 al giorno), oltre a grissini ed altri prodotti. Io sono un ottimista e mantengo un atteggiamento positivo. Suppongo che un aiuto arriverà, nella Gazzetta Ufficiale sono state pubblicati le prime misure di sostegno.
Hai pensato a fare qualche attività di formazione in questo periodo con i tuoi dipendenti? Hai dovuto prendere delle misure in tal senso?
Come i giocatori di una squadra ascoltano il loro allenatore, così i miei collaboratori oggi ascoltano lo chef. Mi preme cercare di garantire loro un minimo di tranquillità, pensando alle loro famiglie. Con il nostro ristorante che esiste dal 1815 abbiamo passato 2 guerre mondiali: questa è la terza, e ne usciremo di nuovo. Certo ci vorranno sacrifici da parte di tutti.
Hai pensato di istituire un servizio di delivery?
Assolutamente no. Andare al ristorante non è solo pura cucina, ma un’esperienza fatta da un luogo, da un servizio, da un sommelier che ti consiglia il vino, dalla storia che senti “trasudare” dalle pareti del locale. I cuochi italiani sono bravissimi, tutti. Non ho dubbi. I miei clienti devono arrivare “a casa nostra”.
Cosa farai a casa ora che hai più tempo?
Innanzitutto sono già focalizzato sulla riapertura: stiamo studiando il piatti per il nuovo menu e le etichette da inserire nella carta dei vini. Poi c’è il mio orto, che richiede cure giornaliere. Ma in verità io sono pieno di hobbies.Sono appassionato di arte, finalmente ho tempo di leggere i miei libri, e di studiare attentamente quelli di cucina, soprattutto quelli dei miei colleghi che stimo come Ducasse, Passard e Robuchon.
Cosa vorresti dire all’estero sulla cucina italiana?
La partita si gioca in campo, non dalla tribuna – sempre per restare nell’ambito delle metafore sportive – però in questo momento mi sento di parlare anche da quella posizione, dicendo che siamo sempre stati molto forti, anche in Piemonte la mia regione. Ci rialzeremo.
Che messaggio vuoi inviare al mondo, considerata anche l’importanza che la clientela internazionale ha sempre avuto per il vostro business?
Ducasse, con cui ho lavorato, mi diceva “se noi, con la nostra tecnica, avessimo le vostre materie prime, saremmo i migliori del mondo”. Dobbiamo partire proprio da questo, dalle nostre eccellenze.L’importanza di usare una materia prima dalla filiera tracciata: io ad esempio scelgo il porro di Cervere (vero km 0), il burro di panna di centrifuga Inalpi ottenuto con latte di 400 allevamenti piemontesi in provincia di Cuneo e Torino, l’acqua della sorgente Sparea di Luserna San Giovanni qui nel torinese, o l’Agnello Sambucano sempre qui della Valle Stura di cui conosco il pascolo di provenienza.