Autenticità il nuovo format
Ne parlavo qualche giorno fa con un amico chef stellato: “Siamo così sicuri, mi diceva, che Milano sia proprio la numero uno in Italia, per offerta di ristorazione di qualità? E perché del resto del Paese si parla così poco?”. Bella domanda, sulla quale ho tentato, nel corso del tempo, di dare (o azzardare) risposte. Certo, lo scenario competitivo qui è sempre più alto, per interpreti, protagonisti e performance. Nel capoluogo lombardo, di sicuro la città più europea d’Italia, si trova ormai di tutto. Dal ristorante con la cucina modello sala operatoria, che utilizza attrezzature ultramoderne, fino al locale roboante dove si
va “per vedere ed essere visti”, fino alle pizzerie d’autore più ricercate per la qualità degli ingredienti utilizzati, fino a quei luoghi-icona guidati da grandi e eccellenti chef, che appartengono più al voglio ma non posso, almeno nell’immaginario collettivo, ma che sono ben frequentati dalla clientela colta e ricercata. Per non dire di quella internazionale, più o meno gourmet, alla ricerca del buono, e con il portafoglio sempre bello gonfio. Diciamo che Milano dà la percezione diffusa di essere il luogo delle ambizioni (o delle pretese) realizzate. O realizzabili. Ogni chef vorrebbe aprire qui un proprio locale, o diversificare la propria attività in linea con l’evoluzione del- la società. Una Mecca per tanti, il sogno apparente che potrebbe consentire l’affermazione. Ne prendiamo atto e la cosa fa anche un discreto piacere, purché sia vista con la necessaria obiettività, senza che ci si monti troppo la testa. Ma, aldilà di questo dato di fatto che vede chef, più o meno affermati, esibire i propri muscoli e esprimere il proprio talento, spesso con l’aiuto dei media , la ristorazione di qualità (o, come dice qualcuno, di eccellenza) non è appannaggio esclusivo di Milano, come potete ben immaginare. C’è un’Italia di cui non si parla abbastanza, magari lontana dai riflettori e dai percorsi turistici più affermati, che esprime vertici autentici, grazie a: passione, ricerca, rispetto della tradizione, selezione delle materie prime, attenzione non forzata al cliente. I bacini di territorio di cui l’Italia si compone sono tanti e variegati, e spesso colpiscono per la bontà delle esperienze, la cortesia delle persone, la semplicità dell’approccio, il rispetto del cliente. In fondo, cosa si intende per “professionalità”, se non l’insieme di queste caratteristiche? Quello che un po’ banalmente viene definito “il lusso della semplicità”, è in realtà un valore diffuso e trasversale, che esprime perfettamente quel plus straordinario che ci appartiene e che si chiama “varietà italiana”. Questo vuole il mercato e, ormai, pretende la clientela. Abbiamo la certezza che “l’era della supponenza” sia finita (era ora) e che il ritorno alla semplicità non sia solo un’esigenza modaiola ma un fatto, fortemente supportato da idee, volontà, energia, investimenti. Un viaggio all’interno del Paese, fuori dalle zone deputate alla notorietà da parte delle guide, anche delle più celebri, che indicano con discreta presunzione al viandante “le deviazioni obbligatorie” (ma spesso ne omettono troppe), dimostra perché l’Italia è un modello vincente.
Abbiamo dedicato la copertina di questo numero di BARtù all’Osteria della Villetta di Palazzolo sull’Oglio (Bs), innanzitutto perché un magazine prestigioso come Monocle (non specializzato nel nostro settore) l’ha inserita al 34mo posto in una classifica del meglio mondiale. In secondo luogo perché la trattoria, o l’osteria, o il ristorante a tema, o qualunque espressione seria e corretta di qualità, stellati compresi, rappresentano una garanzia di capillarità sul territorio. Il format “spontaneo” che tutti vorremmo trovare sulla nostra strada. Presenze rassicuranti, con offerta di menù e linee di cucina caratterizzate da rapporti con fornitori di qualità, macellai, casari o contadini, disseminati in aree geografiche forse poco glamour, in quei numerosi “entroterra” dei quali tutti dovremmo occuparci di più. Nessuna demonizzazione, quindi, per Milano, il bacino in cui esiste il meglio del meglio, in tante declinazioni e segmentazioni di offerta, ma dove è comunque presente il rischio di incappare in luoghi banali, un po’ finti, spesso senz’anima e senza passione. E del tutto privi di quella ragionevolezza che tanto amiamo.
Qui potete trovare la versione online del numero 102 di BARtù, del quale avete appena letto l’editoriale del Direttore Alberto P. Schieppati.