Milano capitale italiana della ristorazione. Sì, no, forse. Fatto sta che qui, ormai, apre di tutto: con la complicità di vantaggi economici (spesso solo apparenti) sull’acquisizione delle gestioni (ma con affitti da capogiro: basta citare il vociferato milione di euro per il nuovo spazio di Cracco in Galleria?), nell’arco degli ultimi dieci mesi hanno aperto oltre mille attività di ristorazione: bar, bistrò, gourmet, etnici, nuove formule ecc. Ovviamente, accanto a vertici indiscussi, c’è anche parecchia fuffa: i molti ingenui che pensano di vincere la lotteria della vita iniziando un’attività di ristorazione (scambiando il fatturato con gli utili) si devono ricredere di fronte a “imprenditori” d’assalto che, senza troppi scrupoli, aprono insegne a destra e manca all’insegna di food cost irrisori e, soprattutto, di retribuzioni letteralmente indegne. L’utile sopra tutto. Bello poi parlare di motivazioni, entusiasmo, creatività ecc. Per carità, non fraintendiamo: se di professionalità in giro ce n’è poca, di bisogno (e di passione) ce n’è parecchio. Ed è indubbiamente un valore importante. Ma approfittare di queste positività è esercizio di breve durata, se non viene supportato da andamenti col segno +. I risultati positivi derivano da investimenti in qualità, materie prime, attrezzature, ma anche nella motivazione di esseri umani, con le rispettive sensibilità, caratteri, inclinazioni. Dunque, la passione da sola non basta (e può trasformarsi velocemente in demotivazione) se non viene guidata, intuita, valorizzata, finalizzata ad un successo che è essenzialmente figlio di un gioco di squadra… Stiamo a vedere cosa succederà nella Milano del dopo Expo, quando le luci dei riflettori si abbasseranno e, allora sì, resisteranno i migliori. E di bravi ce ne sono davvero tanti, giovani e meno giovani: se guardate le nostre pagine social e seguite il sito e le newsletter di Artù vi rendete conto della nostra attenzione verso chi è bravo, capace e performante, in cucina e in sala. Milano è davvero tornata ad essere una città in cui si può mangiare a livelli altissimi. A tale proposito, registriamo una novità cittadina non da poco, a cui guardare con attenzione e rispetto. Gualtiero Marchesi torna Gualtiero Marchesi. Ridimensionato il Marchesino, ideale per dopoteatro di qualità ed esperienze più informali, il ristorante di piazza della Scala si propone con tutta la grandezza del nome del Maestro. E si configura come “la” destinazione per eccellenza. Un evento per la città, che può fregiarsi della presenza di un ristorante italiano a tutto tondo, capace di esprimere una linea di cucina completa, al di là di pseudoregionalismi superati dal tempo e relegati nell’alveo della tipicità (sempre difficile da esprimere correttamente). Gualtiero Marchesi, 85 anni suonati, uomo di cultura profonda prima ancora che grande cuoco, ha l’entusiasmo di un ragazzino e non si tira indietro davanti a nulla. “Ho imparato prima a tuffarmi che a nuotare”, dice spesso Gualtiero: ovvero, nella vita bisogna osare, ma bisogna anche essere capaci di farlo, “imparare” ad osare. Nel menù del nuovo Gualtiero Marchesi ci sono piatti di recente creazione, accanto ai grandi classici di sempre, come il Raviolo aperto o gli Spaghetti al nero di seppia, yogurt e uova di salmone o il Gulasch di tonno o l’incredibile Grande antipasto di pesce con, al centro, gli spaghetti. Ricordo ancora l’entusiasmo con cui, in una calda giornata di primavera di quindici anni fa, il Maestro mi propose questi suoi spaghetti freddi, conditi con sale e poca citronette, cosparsi di erba cipollina con al centro un cucchiaio di caviale e una leggera presenza di scalogno. Qualcuno storse il naso ed esclamò “spaghetti freddi??”. Passato lo stupore, ci si rese conto della semplicità estrema del piatto, capace di esprimere pienezza, gusto estremo e leggerezza insieme. Il segreto del Maestro è proprio questo, rendere la materia protagonista del piatto, senza ulteriori presenze accessorie, ingombranti, fastidiose. Se è vero che “in ogni arte la grande raffinatezza consiste nella sintesi e nella semplicità” (Toulouse Lautrec), riusciamo a comprendere appieno il messaggio di Gualtiero Marchesi, bene evidenziato dalla sua risposta ai quesiti di qualche cronista, fermo al dato apparente. “Ma lei Gualtiero, ci sarà sempre al ristorante?” Risposta: “Bach diceva: non è importante come tocchi il tasto, perché ho già fatto tutto nella composizione. Io mi ritengo un compositore – continua Gualtiero -. Mi interessa l’esaltazione della materia, la sua purezza, il ritmo delle cose…”. Comunque, tranquilli: Gualtiero ci sarà. E guiderà la sua brigata di giovani muovendosi fra cucina e sala, quest’ultima presidiata e diretta con cura estrema, recuperando anche momenti scenici di alto profilo: il trinciante che “lavora” l’anatra al torchio è un momento di rara emozione. Spettacolo Marchesi. Di Alberto P. Schieppati
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