A Milano, città frenetica e cosmopolita, c’è un rifugio di autenticità: Ricci Osteria, dove Antonella Ricci e Vinod Sookar servono emozioni pugliesi a tavola. E’ qui che i vini della Cantina Palamà di Cutrofiano, presentati dall’enologo Michele Palamà, giovane custode di un’eredità familiare, hanno incontrato una Puglia lontana dalle contorsioni dell’over tourism, fatta di gesti lenti e sapori profondi. Un pairing, quello dei piatti del ristorante (tra cui le orecchiette celebrate persino dal New York Times) e delle bottiglie del Salento in cui riecheggiano le radici di una terra resa vicina dalla presenza di una comunità di emigrati e di discendenti numerosissima, e sempre più conosciuta per effetto del turismo di massa
di Massimo L. Andreis
Milano, città cosmopolita per eccellenza, riscaldata da un caldo abbraccio pugliese in una fredda sera di fine inverno. Non già per effetto di una magia, ma quale risultato di un’alchimia eno-gastronomica che ha preso vita in via Sottocorno 27, dove Ricci Osteria racconta la Puglia più autentica attraverso ogni singolo dettaglio, ogni profumo, ogni sapore.

La genesi di un sogno culinario
La storia del locale inizia a Ceglie Messapica, nel ristorante di famiglia “Al Fornello da Ricci”, dove Antonella Ricci e Vinod Sookar (lei pugliese, lui originario delle Mauritius) hanno costruito la loro filosofia culinaria (parallelamente alla loro storia d’amore, ndr). Una filosofia radicata nella convinzione che la cucina sia un atto di sincerità, di rispetto per le materie prime, di connessione profonda con il territorio.
“L’abbiamo chiamata Osteria perché il cibo autentico pugliese nasce proprio nelle osterie”, dice spesso Antonella. Parole che rivelano l’essenza di un progetto nato non come semplice ristorante, ma come ambasciata culturale, un ponte tra la Puglia e Milano.
Ecco perché le pareti del ristorante ricordano le masserie, le ceramiche sono firmate da Enza Fasano, e in sala, a volte, Antonella svela i segreti delle orecchiette fatte al coltello: “Poca acqua, impasto sodo e tanta pazienza”. Il New York Times le ha inserite tra i 25 piatti di pasta da mangiare in Italia, ma per i milanesi (soprattutto quelli con radici pugliesi) sono semplicemente la memoria di casa.

Un progetto collettivo
Accanto ad Alessandra e Vinod, il resident chef Francesco Bordone, campano di origine ma pugliese di adozione, e i proprietari Massimiliano Paradisi, Marco Postiglione e Sergio Maiorino. Un team che condivide la visione di portare l’anima della Puglia in un “piccolo centro del mondo” qual è Milano, luogo magico dove le etnie e le tradizioni culinarie si incontrano e si abbracciano.
Detto, fatto: ecco dunque andare il tavola il pairing tra cucina e vini pugliesi, che, in fredda serata di marzo, ha riscaldato gli ospiti di una cena degustazione fondata su un incontro “fuori regione” sì, ma in una realtà, quella milanese e lombarda, che conosce le bellezze della Puglia per almeno due ragioni: vuoi per la presenza di moltissimi emigrati (e oggi di loro discendenti) provenienti dalle Puglie (definizione al plurale che anticamente indicava le tre province storiche di Capitanata, Terra di Bari e Terra d’Otranto), negli anni del boom economico, vuoi per effetto dei soggiorni lungo le meravigliose spiagge della regione, che negli ultimi anni sono diventate meta di un turismo che purtroppo sfocia ormai nell’over, rischiando di snaturare l’esperienza sul posto. Una esperienza che invece si è rinnovata, autentica e verace, da Ricci Osteria, grazie proprio alla virtuosa accoppiata del meglio della cucina e della viticoltura pugliesi.

Un racconto in tre atti (gastronomici)
Mercoledì 19 marzo 2025. La sera in cui i confini geografici sono evaporati, sostituiti da un’esperienza sensoriale che ha parlato il linguaggio universale del gusto.
L’anticipazione è già un racconto: polpette di pane fritte, adagiate su un letto di crema di formaggio e pomodoro, profumate di menta. Un morso che risveglia la memoria gustativa, che prepara i sensi al viaggio, esaltato dal Metiusco Metodo Classico, primo assaggio di una linea che, con il suo nome evocativo (“Io mi inebrio” in grico) racconta un territorio e una cultura enologica unici.

Si prosegue con fiori di zucca al carbone vegetale, farciti di ricotta, impanati alle briciole. Un omaggio alla leggerezza e alla creatività. Al suo fianco, il Metiusco Bianco – ottenuto da Verdeca e Malvasia Bianca – racconta la complessità di un territorio attraverso note fresche e intense.

Manate al ragù di coda di rospo, profumate al limone e impreziosite da datterini gialli: un piatto che è paesaggio marino, movimento di onde, sapori che si rincorrono. Il Metiusco Negroamaro Rosato, prodotto con il metodo “a lacrima”, lo accompagna con la sua freschezza, esaltando i sentori marini.

Entrecôte di vitello in crosta di erbe mediterranee, servito con ortaggi primaverili. Ecco il piatto che esprime appieno la forza della terra pugliese. Il Metiusco Rosso, dal carattere deciso e avvolgente, esalta un’esperienza gastronomica che è molto più di un semplice pasto.

Non solo spiagge: la storia di Cantina Palamà
Quella di Palamà è una storia di famiglia, di sudore, di passione. Una storia scritta nella pelle di Ninì Palamà, che ancora oggi parla delle vigne come di figli. Ma è Michele, enologo della nuova generazione, ad aver impresso la svolta: “Volevamo vini più freschi, senza tradire il carattere”. E così il Negroamaro ha imparato a sorridere, il Susumaniello è diventato un rosato da medaglia d’oro, e la produzione – un tempo esportata al 90% – oggi resta al 60% in Italia. “È un orgoglio”, ammette Michele, mentre racconta del Metiusco Metodo Classico, spumante da uve Negroamaro che ha stregato la sala con le sue bollicine affinate 24 mesi sui lieviti. I riconoscimenti al Mundus Vini 2025 (oro per il Bianco e il Ninì Rosato, argento per Rosso e Rosato) sono solo il preludio: “Il Salento non è solo spiagge. È un vigneto che guarda il mare, e noi ne beviamo la luce”.

Un dolce finale
La serata si conclude con una mini zeppola ripiena di crema pasticcera – omaggio a San Giuseppe, era pur sempre il 19 marzo, la “Festa del papà” – e un “TiramisuD” che reinterpreta il classico dessert. Un ultimo atto che sintetizza perfettamente la filosofia di Ricci Osteria: rispetto della tradizione e libertà creativa.

Highlights
- Cucina come Linguaggio: Ricci Osteria traduce la Puglia in un dialogo universale di sapori.
- Vini di Territorio: I Metiusco di Palamà, poemi liquidi del Salento.
- Generazioni a Confronto: La passione tramessa da Antonella e Vinod, raccolta da Francesco.
- Innovazione Rispettosa: L’approccio di Michele Palamà, che guarda al futuro senza tradire le radici.
- Milano Luogo di Incontro: Dove le eccellenze regionali trovano casa e celebrazione.
- Riscoperta dei Sapori: Ogni piatto un racconto, ogni vino un viaggio.
- Ospitalità Come Arte: Un servizio che trasforma il pasto in esperienza.
- Stagionalità e Territorio: Ingredienti che cambiano, fedeltà al racconto pugliese.
- Emozione Gastronomica: Cibo e vino che nutrono molto più dello stomaco.
- Futuro delle Radici: Un progetto che guarda avanti preservando l’essenza di un territorio.








