L’Istituto Grandi Marchi celebra vent’anni di successi con un fatturato aggregato di 660 milioni di euro e un export superiore al 55%. La crescita nei mercati asiatici (+130%) e statunitensi (+5% per i vini fermi, +10% per gli spumanti) conferma il trend positivo emerso dalla ricerca realizzata da Nomisma Wine Monitor. Nelle dichiarazioni di Piero Mastroberardino, presidente IGM, emergono temi chiave: il ruolo culturale del vino, l’attenzione dei giovani per sostenibilità e qualità, il potenziale del mercato USA e il valore dell’enoturismo come volano di crescita
di Massimo L. Andreis
Nel panorama enologico mondiale, l’Italia si erge come protagonista indiscussa, grazie all’impegno e alla passione delle sue storiche famiglie del vino. L’Istituto Grandi Marchi (IGM), che riunisce 18 tra le più prestigiose aziende vinicole italiane, celebra il suo ventesimo anniversario con risultati straordinari: un fatturato aggregato di 660 milioni di euro, di cui oltre il 55% derivante dall’export. Questi dati emergono dalla recente ricerca commissionata dall’IGM e realizzata da Nomisma-Wine Monitor, presentata il 5 febbraio 2025 nella suggestiva cornice di Terrazza Palestro a Milano.

Il grande balzo nel mercato globale, con l’Asia a fare da volano
Come ha sottolineato in apertura Denis Pantini (nella foto di apertura a sin), responsabile Nomisma Wine Monitor, in vent’anni, le aziende associate all’IGM hanno raddoppiato il loro fatturato, evidenziando una crescita esponenziale sui mercati internazionali. Il 70% del fatturato estero proviene da mercati al di fuori dell’Unione Europea, con un incremento impressionante nei paesi asiatici, dove gli acquisti di vini italiani sono aumentati del 130%. Gli Stati Uniti si confermano il principale mercato di destinazione per i fine wines italiani. Nonostante le sfide economiche, nel 2024 si è registrato un aumento delle importazioni dall’Italia del 5% in valore per i vini fermi imbottigliati e del 10% per gli spumanti, in controtendenza rispetto alla media del mercato.

Millennials americani: Eppur si muove…
La ricerca ha analizzato i comportamenti di consumo di 2.400 appassionati di vino negli Stati Uniti, rivelando che il 30% si definisce “real user” di fine wines, con una predominanza di millennials appartenenti alla upper class. Dopo i vini locali, i fine wines italiani sono i più apprezzati, grazie alla loro crescente reputazione in termini di classe ed eleganza. Nel 2024, il 27% dei consumatori americani associa questi attributi ai vini italiani, in aumento rispetto al 20% del 2017. Un dato promettente riguarda i non consumatori di fine wines italiani: il 76% di loro si dichiara interessato a provarli, evidenziando opportunità per ulteriori espansioni di mercato.

Il valore del family business: una tradizione che conquista
Se i fine wines italiani sono i preferiti dai giovani americani, il legame con l’Italia è un elemento chiave per i consumatori USA, molti dei quali vantano origini italiane o hanno visitato recentemente il Paese. La scelta di questi vini è influenzata dalla reputazione complessiva delle produzioni italiane, dalla notorietà del brand, dai riconoscimenti nelle guide di settore e dall’unicità delle aziende a gestione familiare. Quest’ultimo aspetto è particolarmente rilevante per i millennials: il 16% lo considera determinante, rispetto all’11% della media generale. L’importanza del family business e dell’eredità culturale non solo rafforza la reputazione dei fine wines italiani, ma risulta cruciale per attrarre i consumatori più giovani, che apprezzano la qualità e l’autenticità dei prodotti.

Prospettive future: un mercato in continua espansione
Le potenzialità di crescita sul mercato americano per i fine wines italiani sono concrete. Il 44% dei consumatori statunitensi intervistati prevede di aumentarne l’acquisto nei prossimi tre anni, contro un 50% che ritiene di mantenerli invariati e solo un 6% che pensa di diminuirli. Questo trend positivo, unito all’apprezzamento per i valori tradizionali e familiari delle aziende italiane, suggerisce un futuro luminoso per i fine wines italiani nel panorama internazionale.

Piero Mastroberardino, presidente IGM, a 360°
Il background culturale e sociale del mercato, (presunta) crisi del fine wines negli USA e lo stato del mercato a stelle e strisce, le preferenze e il ruolo dei giovani consumatori, la crescente importanza dell’enoturismo: abbiamo ascoltato su questi temi le parole di Piero Mastroberardino (nella foto sotto e in quella di apertura a dx), di recente confermato per la quarta volta di fila presidente dell‘Istituto del Vino Italiano di Qualità Grandi Marchi (IGM). Nato ad Avellino il 4 maggio 1966, viticoltore di decima generazione, oltre a guidare l’azienda di famiglia è professore ordinario di Economia e Gestione delle Imprese presso l‘Università degli Studi di Foggia.

D: Presidente Mastroberardino, quale ruolo giocano le componenti culturali e sociali nel mercato vinicolo italiano?
R: “Le componenti culturale e sociale sono il traino di un mercato come quello del vino spezzettato in mille rivoli, con innumerevoli cantine da nord a sud dello Stivale che hanno una storia importante alle spalle. È questo humus che alimenta un universo di opportunità per gli operatori del settore vinicolo”.
D: Si parla di una crisi dei fine wines negli Stati Uniti. Qual è la sua opinione al riguardo?
R: “Crisi dei fine wines in Usa? Io vedo semmai diversi aspetti positivi: i millenials hanno una preferenza verso questa tipologia di prodotto, così come la generazione X, che sono poi le fette di acquirenti con disponibilità economica. Certo, sulla generazione Z non posso fare previsioni né scommesse”.
D: Quali sono le preferenze dei consumatori più giovani in termini di vino negli USA?
R: “I giovanissimi hanno sicuramente una attenzione maggiore per sostenibilità e una predilezione per vini a più bassa gradazione. Peraltro, anche una recente indagine condotta dalla Silicon Valley bank prevede un aumento dei vini premium negli USA rispetto a quelli più ‘commerciali’. Il contributo delle giovani leve è fondamentale per noi di Grandi Marchi: qual è il meccanismo di acquisto di un vino? Le determinanti sono tante e la pianificazione del futuro del settore passa dalla conoscenza delle preferenze dei giovani consumatori e dal coinvolgimento delle nuove leve nelle nostre aziende”.
D: Come vede l’attuale situazione del mercato vinicolo negli Stati Uniti?
R: “Gli States sono un faro per il mondo del vino internazionale: mentre da questa parte dell’oceano, in un mercato più che maturo cresce la cultura del vino, ma diminuisce la propensione al consumo, quello a stelle e strisce rimane un orizzonte interessante, con fattori di rischio certo (come per esempio il trend della concentrazione degli importatori, meno attenti ad aspetti peculiari di ogni cantina) ma anche con enormi potenzialità. Chi se ne avvantaggerà saranno i produttori che, a fronte di una segmentazione estrema della domanda e di differenziazione enorme dell’offerta, sapranno creare i maggiori e più seducenti elementi di distintività, così da soddisfare la richiesta occupando spazi in mercati sempre più affollati, rumorosi e complessi”.
D: Qual è il valore del turismo enogastronomico per le aziende vinicole italiane e il mondo del vino nel suo complesso?
R: “L’enoturista è disposto a pagare la qualità ma questa offerta turistica è sempre più onerosa e si scontra con la marginalità. Non solo: l’enoturismo non è solo una banale nuova e crescente declinazione dell’offerta turistica ma uno strumento per creare un link, un rapporto con il consumatore, in grado di ampliarne la propensione all’acquisto del vino nei canali più tradizionali: per il consumo domestico o fuoricasa una volta tornato a… casa. Così può dunque diventare un volano di crescita per un produttore, aumentando o infondendo nel turista la consapevolezza della cultura del vino di una determinata zona enoturistica, basata su una esperienza sul campo che lo trasforma in wine lover di quel vino. L’enoturismo non è dunque solo degustazione ma momento culturale che crea engagement: un sentimento di trasporto, amore, curiosità e affezione verso una zona enologica e i suoi prodotti vinicoli. Ecco perché a chi offre enoturismo si chiede e si impone di fare vivere una esperienza molto ampia e variegata per creare una impressione, un ricordo, un piacere che sedimenta nel visitatore, che rimane latente, che viene introiettata per accompagnarlo nel futuro”.
Qui la ricerca Nomisma Wine Monitor per IGM completa, voce per voce.
Highlights:
- Grandi Marchi, grandi numeri: Le 18 aziende dell’Istituto Grandi Marchi sfiorano i 660 milioni di fatturato, con oltre il 55% trainato dall’export.
- Asia a tutta velocità: In vent’anni, gli acquisti di vino italiano in Asia sono cresciuti del 130%, segnalando un trend inarrestabile.
- Boom italiano negli USA: Nel 2024, le importazioni di vini italiani negli States salgono del 5% per i fermi imbottigliati e del 10% per gli spumanti.
- Fine wines e Millennials: Il 30% dei wine lover americani è un “real user” di fine wines, con Millennials upper class in prima fila.
- Eleganza italiana in crescita: Il 27% dei consumatori USA associa i fine wines italiani a classe e raffinatezza, un balzo rispetto al 20% del 2017.
- Cultura e territorio: Il vino italiano si nutre di storia e tradizione, con migliaia di cantine radicate nel territorio. Questo tessuto culturale genera opportunità uniche.
- Fine wines negli USA: Nessuna crisi all’orizzonte, anzi. Millennials e Gen X mostrano forte interesse per i vini pregiati italiani, confermando una solida domanda.
- Scelte dei giovani: Sostenibilità e gradazione alcolica più bassa guidano i giovani consumatori USA, con i vini premium in crescita rispetto a quelli più commerciali.
- Mercato USA tra rischi e opportunità: La concentrazione degli importatori può penalizzare i piccoli produttori, ma chi punta su unicità e distintività avrà successo.
- Enoturismo strategico: Oltre la degustazione, il turismo del vino crea legami duraturi con i consumatori, trasformandoli in ambasciatori del territorio e del brand.