No Tools_Fork1: una mostra (e una cena) da Uovodiseppia Milano per celebrare l’oggetto-simbolo del nutrimento per eccellenza, tra le pietanze dello chef Pino Cuttaia e le opere del fotografo Davide Dutto
di Chiara Di Paola
È uno degli utensili più comuni della quotidianità, il testimone silenzioso di ogni pasto, presenza tanto abituale sulla tavola da essere dimenticata e protagonista di gesti semplici che tuttavia racchiudono in sé tutta una serie di sovrasensi atavici, sovrastrutture culturali ed esperienze individuali e familiari: la forchetta non è solo un utensile bensì un simbolo di fame, nutrimento, abitudine, cultura della convivialità; uno strumento di condivisione ma al tempo stesso di appropriazione individuale del “proprio boccone di cibo”. Un oggetto “standard” che tuttavia –a tavola e non solo– può diventare complice di utilizzi alternativi, non sempre democratici, non sempre innocui.

Pino Cuttaia: ricordi e riflessioni oltre la mise en place
Nei ricordi di Pino Cuttaia, chef licatese due Stelle Michelin, proprietario del ristorante La Madia e –dallo scorso luglio 2024– partner del progetto Uovodiseppia Milano, la forchetta ha una fisionomia anomala, dai rebbi allargati: è la forchetta del padre, che l’aveva così deformata per poter prendere più cibo dal grande piatto unico condiviso al centro del tavolo, da cui ogni membro della famiglia Cuttaia doveva attingere –per equità– lo stesso numero di bocconi.
Ecco allora che la forchetta “modificata” diventa uno strumento di prevaricazione patriarcale, ma anche di rivendicazione di una fame istintiva e irriflessa che va oltre qualsiasi ragione o sentimento paterno: come nel film di Stanley Kubrick Odissea nello Spazio (2001), diventa un’arma per cacciare e rivendicare la propria superiorità, ma al tempo stesso il presupposto per poter partecipare al momento sociale del pasto. È ciò che dà senso al gesto di sedersi a tavola, per condividere con altri una serie di gesti che – per una sorta di galateo implicito – elevano l’essere umano al di sopra del genere animale.

La forchetta attraverso l’obiettivo di Davide Dutto
Il fotografo piemontese Davide Dutto, da più di 40 anni impegnato a restituire l’anima degli oggetti attraverso le immagini e a trasferire alle sue fotografie emozioni capaci di trasformarle in “luoghi dell’anima”, celebra la forchetta con il progetto No Tools_Fork1 (sostenuto da Bulthaup): primo capitolo di una trilogia di cui fanno parte anche Spoon2 e Knife3, consiste in una serie di scatti pensati per raccontare storie di uomini e cibo attraverso gli strumenti utilizzati per manipolarlo, in qualche modo “trasformarlo”, ma anche per appropriarsene e per farne oggetto di un momento e di un atto culturale. Nelle fotografie di Dutto la forchetta viene decontestualizzata, appare sospesa in un limbo bianco che la rende “assoluta”, astratta da qualsiasi “qui e ora”. Diventa simbolo universale, comunemente utilizzata da milioni di persone. Eppure – proprio come un habitus (l’“abito” nel senso più autentico del termine derivato dal laitino) – anche questa protesi metallica è in grado di adattarsi alla mano di chi la utilizza, di raccontarne i gesti, le abitudini, le pose, modificando la propria forma e persino la propria consistenza materica.

Una mostra… con esperienza
Le opere resteranno esposte (e in vendita) all’interno del ristorante Uovodiseppia fino a gennaio 2025. Qui, ogni sera, permetteranno agli ospiti seduti a tavola di vivere un’esperienza unica, all’interno di un contesto d’eccezione permeato dalla sinergia creativa nata dall’incontro tra la cucina di chef Cuttaia e dall’arte fotografica di Davide Dutto. Ogni cena diventa così un racconto nel racconto, che si moltiplica esponenzialmente attraverso la storia di ogni forchetta immortalata sulle pareti del locale, nonché di ognuna tenuta in mano da ciascun commensale.
Un’occasione per guardare oltre l’oggetto e riscoprirlo vivo, grazie a coloro che lo utilizzano, lo hanno utilizzato e lo utilizzeranno ogni giorno, a ogni pasto, boccone dopo boccone.

Distorsioni e ritorno all’origine
Ad aprire questo ciclo di serate, una cena speciale (voluta da Bulthaup e realizzata grazie a Frigo2) a base di alcuni piatti signature dello chef, che raccontano la sua origine siciliana e al tempo stesso la sua eredità piemontese e la voglia di creare una suggestione domestica e familiare. Il menù rappresenta infatti un viaggio ai poli opposti d’Italia, che parte con la Seppia carciofi e limone e il Tonno di spada alla pizzaiola, prosegue con la Trasparenza di Calamaro in salsa di acciuga e cavolfiore e con il Brasato al Barolo, e si conclude con in Caldo di castagna e fiori di loto e con un (volutamente) rassicurante Tiramisù.
Ma il vero focus della serata è sulla forchetta: a ogni commensale infatti è stata messa a disposizione una forchetta dai rebbi allargati oltre misura, ispirata al ricordo paterno dello chef e trasformata in un simbolo della persistenza dei legami famigliari, con il proprio passato e con la propria terra. La successione dei piatti, e soprattutto il fatto di cimentarsi a mangiarle utilizzando uno strumento “altrui” è diventato così un modo per entrare nella vita dello chef e al tempo stesso per acquisire consapevolezza del fatto che ognuno ha la propria “forchetta”, fatta di aneddoti, memorie, usanze, affetti. E per ricordarselo ogni giorno, gli ospiti della serata sono stati omaggiati dell’utensile impiegato durante la cena. A loro il compito di farlo proprio e di renderlo unico.
