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L’autunno è tempo di funghi, zucche, castagne, cachi, ma per la cucina fine dining l’eccellenza assoluta della stagione è il tartufo bianco, tanto da meritarsi la dedica di interi menu dedicati, dal nord al sud d’Italia. Al MAMÌ Storie di Cucina Italiana una cena a quattro mani celebra questo pregiato ingrediente e l’incontro tra Milano e il Monferrato, in un luogo naturalmente vocato all’accoglienza

di Chiara Di Paola

 

Ode al tartufo: se la coltivazione del tartufo in Cile non fosse storia recente – è iniziata in maniera sostanziosa più o meno degli ultimi dieci anni-, il poeta Pablo Neruda avrebbe senza dubbio dedicato a questo fungo ipogeo una delle sue Odi Elementari, collocandolo probabilmente accanto al pomodoro, alla cipolla e al carciofo. Eppure la latitudine e i tempi dell’innovazione agronomica hanno giocato a sfavore della gloria letteraria di questa creatura del sottobosco, che tuttavia oggi può contare su un’indiscussa celebrazione culinaria in tutto il mondo. Apprezzato per la sua rarità, per il fascino romantico connesso alla sua “caccia” e per la sua capacità di rendersi inequivocabilmente riconoscibile e caratterizzante in qualsiasi preparazione. La sua aromaticità – che varia in base alla tipologia, all’altitudine, alla composizione del terreno, alle e caratteristiche della vegetazione simbiotica e al periodo di raccolta si caratterizza sempre per una particolare nota terrosa, rotonda e con un tocco pungente, mentre il gusto è un equilibrio perfetto di dolce, amaro e umami. É un ingrediente che  “fa il piatto”, riempie il naso e la bocca, catalizza i sensi e riporta il cervello a quello stato primitivo in cui l’olfatto, insieme alla vista – ancor prima del gusto – diventa strumento per orientarsi nell’ambiente naturale e distinguere ciò che è buono da ciò che non lo è.

Verticali celebrative: la precarietà dei menu monotematici
Oggi sulla bontà del tartufo c’è un incontrovertibile accordo internazionale. E se forse non tutti lo apprezzano fino in fondo, o non lo fanno per le ragioni giuste, nessuno oserebbe mai mettere in discussione il fatto che questo ingrediente pregiato (e costoso, visto che può arrivare a 25 mila euro al kg) sia all’altezza della più raffinata cucina gourmet. D’altro canto, quando è “stagione”, sono molti gli chef che si prodigano per offrire ai propri clienti gli esemplari migliori, dedicando spesso interi menu alla degustazione di questo transitorio ingrediente. Sì perché in questo caso, “coltivare” il tartufo, significa semplicemente prendersi cura dell’ambiente predisposto alla sua crescita (le tartufaie), rimettendosi poi a fattori esterni – il meteo innanzitutto, ma anche l’abilità del cane e il tempismo della caccia – per riuscire a scovarlo, con le stesse dinamiche che caratterizzano la ricerca in un ambiente selvatico. Va da sé che la disponibilità del prodotto – al pari della sua qualità – è del tutto imprevedibile e varia non solo di anno in anno ma di giorno in giorno. Motivo per il quale un menù verticale sul tartufo è sempre un azzardo, ma anche un rischio che vale la pena di correre.

Una cena a quattro mani porta il Monferrato a Milano
Lo scorso 21 novembre il ristorante MAMÌ Storie di Cucina Italiana, all’interno dell’Hotel Meliá Milano, è stato teatro di un’esclusiva cena a quattro mani che ha portato il tartufo e altri prodotti piemontesi al centro di uno dei quartieri più dinamici e internazionali di Milano: City Life. Protagonisti ne sono stati il resident chef Pio De Filippo, e la monferrina Patrizia Grossi, chef patron di Torre, un ristorante sui generis che nonostante la collocazione nel cuore nelle Langhe piemontesi, fa orgogliosamente sfoggio di un’ispirazione cosmopolita: dagli arredi che – all’interno di uno spazio progettato dal celeberrimo architetto Rem Koolhaas con Chris van Duijn e Federico Pompignoli – accostano pezzi firmati dal designer Eero Saarinen ed elementi originali del Four Seasons Restaurant di New York progettati da Philip Johnson, fino al menu, diviso tra alcuni (pochi) piatti di carne del territorio e una netta predominanza di ricette di mare da tutta Italia. Per ospitare la filosofia di cucina della chef ospite non poteva quindi esserci location migliore di un ristorante collocato all’interno di una location naturalmente votata all’accoglienza, storicamente prestata al cambiamento (si pensi che quello che oggi è un albergo 5 stelle lusso, di proprietà di una catena spagnola di hotellerie presente in tutto il mondo, è sorto all’interno dell’ex stabilimento dell’azienda dolciaria milanese Alemagna e ha assunto la veste attuale dopo una profonda recente ristrutturazione) e inevitabilmente caratterizzata dall’apertura verso tutto ciò che può provenire dall’esterno (e dall’estero) e trasformarsi in incontro, condivisione, scambio e sperimentazione.

Il menu ad hoc, per scoprire un territorio
I due cuochi hanno unito le forze e realizzato un menu ad hoc per valorizzare il pregiato tartufo bianco di Valle Ghenza e altri prodotti locali dell’area di Rosignano Monferrato, con l’intenzione di celebrare la tradizione enogastronomica della Regione Piemonte, ma anche le storie, le tradizioni locali e i progetti che si celano dietro alcuni dei suoi prodotti più rinomati. Durante il servizio di un menù classico e insieme contemporaneo di quattro portate (Battuta di fassona piemontese con olio evo del Monferrato e tartufo bianco; Risotto mantecato con parmigiano 30 mesi e tartufo bianco; Arrosto alla maniera antica e  Torta di mele di Rosignano Monferrato DeCo con gelato allo zabaione e tartufo), accompagnato da vini selezionati della rinomata Cantina Castello di Uviglie, rappresentante della miglior produzione vitivinicola monferrina – inserita nel patrimonio UNESCO – gli ospiti hanno avuto modo di vivere un’esperienza sensoriale e insieme culturale inedita, data dall’incontro tra i sapori autentici del territorio monferrino e le storie che rendono l’area e il suo tartufo così affascinanti e unici.

Racconti a sei zampe e progetti più ampi
Ciò che maggiormente colpisce quando si parla di tartufo è il patrimonio di significati, storie familiari e aneddoti personali che accomunano coloro che a questo fungo hanno dedicato la propria vita. Innanzi tutto i cercatori (o tartufai) sono i custodi di un’arte antica, ma anche i protagonisti di un’avventura quotidiana che -indipendentemente dal clima e dalle condizioni atmosferiche- condividono con il proprio cane, trasformandola in un’occasione di gioco immerso nella natura e in un momento in cui riconfermarsi la reciproca fiducia.

Oltre a questi eroi del tartufo, dietro al significato culturale di questo ingrediente ci sono anche i protagonisti silenziosi del progetto Rosignano Accoglie – Saperi e Sapori in Monferrato, uno dei vincitori del Bando Borghi del PNRR nel 2021, finanziato dall’Unione Europea attraverso il programma Next Generation EU e pensato per la rigenerazione dei borghi storici e di altri piccoli siti e del loro patrimonio culturale. In particolare ha in mente la progettazione di costituzione di un Centro culturale per la tutela e la divulgazione della cultura enogastronomica monferrina presso Casa Cassano; la creazione di una Scuola del Gusto con laboratori e spazi polivalenti con l’obiettivo di portare avanti la ricerca e l’inventariazione di ricette, riti, usi e costumi del luogo; una scuola di cucina in collaborazione con Fondazione Casa Artusi. Il focus del progetto è rendere Rosignano Monferrato un polo attrattivo riconosciuto a livello nazionale ed internazionale, favorendo nuova occupazione e valorizzando i processi produttivi e identitari del territorio. Fondamentale sarà il coinvolgimento dei giovani per garantire la partecipazione e tramandare così i saperi locali alle nuove generazioni.

Una cena per assaggiare spunti futuri
La cena al MAMÌ Storie di Cucina Italiana, ha voluto essere solo lo spunto iniziale per intraprendere nuovi viaggi culinari, verso il Monferrato, ma anche attraverso le trasgressioni culinarie proposte dagli chef Roberto Picozzi (executive chef di Meliá Milano) e Pio De Filippo (chef di MaMì). La loro proposta gustativa vuole essere riconoscibile ma al tempo stesso in grado di distinguersi dal “già visto, capace di stabilire una costante connessione con le tradizioni antiche e familiari del Bel Paese, ma anche di uscire dallo stereotipo, creando una continuità multisensoriale con l’aspetto moderno della location e con l’attenzione al design (nello stile di Bruno Munari ed Enzo Mari) che coinvolge tutti gli aspetti del ristorante: dalla mise en place fino al ritratto a parete di Sophia Loren immortalata mentre stende la pasta fresca. Cucina italiana dunque, ma arricchita di tutte le suggestioni che possono venirle dal fatto di trovarsi all’interno di un hotel che sorge al centro di una piazza internazionale come il quartiere fieristico milanese, costantemente proiettato verso la sorprendente novità, il fusion, lo scambio e l’incontro di persone, cose, idee e sapori. Il risultato?  MAMÌ  è davvero un luogo di “storie”, che qui hanno occasione di intrecciarsi e di essere raccontate.

MAMÌ Storie di Cucina Italiana
Via Monte Bianco 60, 20149 Milano
Telefono: 02/444 06 47 40
E-mail: reservation@ristorantemami.com
Aperto tutti i giorni dalle 12.30 alle 15.00 e dalle 19.30 alle 22.30

 

 

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