Vibe Milano: ecco dove Valerio Braschi, giovane chef che non ha paura di osare, riesce a toccare le corde giuste per rendere la sua cucina indimenticabile
di Chiara Di Paola
Un locale che vuole rendersi “indimenticabile”: inaugurato lo scorso luglio a Milano, in Porta Genova, poco distante dai Navigli, Vibe è più di un ristorante. E’ un progetto pensato per lasciare un segno importante nel panorama gastronomico della città più cosmopolita d’Italia.
Il nome sull’insegna fa riferimento all’atmosfera e alla filosofia del locale che, con un fascino e uno stile caratteristico e un mood giovanile e fresco, vuole trasmettere una “vibrazione” che renda i piatti e soprattutto l’esperienza irripetibili e indimenticabili, plasmandone un ricordo duraturo.
Uno chef giovane e senza frontiere
Alla guida di Vibe c’è Valerio Braschi, classe 1997, nato e cresciuto a Santarcangelo di Romagna, noto a molti per aver vinto – appena maggiorenne – la sesta edizione del talent show culinario Masterchef Italia nel marzo 2017. In 5 anni trascorsi nella Capitale, alla guida del Ristorante 1978, dove (tra piatti gustosi e provocazioni gastronomiche come le lasagne concentrate in un tubetto da dentifricio e la pizza in bustina) ha conquistato il pubblico e la critica e ha ottenuto buoni riconoscimenti tra i Cappelli de L’Espresso e le Forchette del Gambero Rosso, oltre a un’importante presenza sulla Guida Michelin. Oggi, a soli 26 anni, accoglie la proposta di Edoardo Maggiori (proprietario fra le altre di un’insegna di successo come Filetteria Italiana) e si affaccia sulla piazza milanese con il suo secondo ristorante. Un luogo pensato per non lasciare indifferenti, neppure nella città con la più alta concentrazione di ristoranti gourmet nel Bel Paese.
Atmosfera “vibrante” e location instagrammabile
Fin dal nome, Vibe vuole essere molto più di un luogo in cui mangiare: vuole essere “vibrazione”, percepibile con sensi che un “sesto senso” che và oltre il gusto del cibo.
Il locale è informale, instagrammabile, estroso e vivace fin dal coloratissimo murales nel cortile, che accoglie gli ospiti, introducendoli in un’atmosfera informale e sbarazzina che – superato l’ingresso su cui si apre la cucina a vista – domina le due sale con apparecchiata una ventina di coperti. Qui le tinte insolitamente accese delle pareti, al limite del provocatorio per un ristorante (viola ciclamino con quadri dallo stile moderno, con disegni stilizzati e sfumature accese) contrastano con una mise en place senza eccessi, con con tovaglia classica di colore candido (in voluta controtendenza con la moda attuale) e apparecchiatura minimal, che consente di lasciare il ruolo di protagonista ai piatti, senza distogliere l’attenzione dell’ospite dalle “vibes” trasmesse da ciò che gli viene servito.
Un menu che punta all’indimenticabilità
Con il pubblico milanese chef Braschi ha capito di poter (dover?) osare e non ha avuto paura di farlo, spingendosi oltre l’“atteso” con proposte culinarie che puntano all’essenza del gusto degli ingredienti, attingendo tanto alla tradizione nostrana quanto all’avanguardismo tecnico e alla contaminazione con altre culture gastronomiche (prima fra tutte quella nipponica).
Il menu (dalla Carte al menu degustazione per la cena da 120-140 €, alla formula lunch da venerdì a domenica, con 3/5 portate “a sorpesa”) è quindi un viaggio che parte da casa e conduce all’esplorazione di luoghi lontani: Spagna, India, Giappone, Svezia, Nord Europa e Nuova Zelanda (non per nulla il menù degustazione si chiama “Diario di un ragazzo viaggiatore”): un mix di portate “rassicuranti” (come i signature Cappelletti di “lasagna della Bruna”, che unisce in un’unica «goduria» il ricordo delle due nonne dello chef, e Brodo di pecora delle Sabine, che nobilita le parti meno pregiate dell’animale, smorzando l’aggressività del “selvatico” grazie all’uso sapiente delle spezie che esaltano il gusto umami e rendono il tutto piacevole tanto da poter essere servito e sorbito come una tisana di inizio pasto) e concessioni esotiche che guardano più o meno lontano (dal Sashimi di ricciola del Pascifico marinata in 3 oli con sale Maldon, porro fresco, wasabi e foglia d’ostrica all’Astice canadese cotto e crudo con caviale di muggine e zuppa thailandese tom yum con purea di cocco, passando per le Lumache alla bourguignonne con burro, prezzemolo, chorizo in crema e mousse di ceci con olio al rosmarino).
La provocazione data da questo continuo accostamento di opposti di forme, sapori e provenienze geografiche, si ritrova anche nei singoli piatti: dai giocosi e scenografici amuse-bouche basati sul contrasto dolce-sapido-piccante (Jack fruit com salsa BBQ e spezie e pepe di Sichuan; Finta mela con fegato di pollo al tartufo e glassa pinguino al cioccolato bianco; Meringa all’italiana con formaggio spalmabile e porro fresco) al Brodo udon con dashi, katsuobushi, salsa di soia, olio all’aneto e aringa affumicata, servito con Aringa affumicata, piastrata con salsa teriyaki, yuzushu e Jalapeño, fino al Glacier 51 e Rubia Gallega, un piatto terra-mare in cui il “wagyu del mare” australiano viene lavorato con il grasso di una delle razze bovine più pregiate al mondo (emulsionato attraverso un sonicatore hi-tech) e servito come una bistecca (tanto da trovare il perfetto abbinamento in un rosso Shiraz toscano).
Anche la conclusione del pasto si fà “osé” con Errore perfetto (il pre-dessert a base di pepe sansho, gel di bergamotto e caviale di muggine) e poi con i dolci realizzati dal sous chef e pasticciere Francesco Di Lallo (al fianco di Valerio da cinque anni. Tra questi spicca Solaire (un cremoso di cioccolato, mou, gelée e sorbetto di albicocca, yuzushu e peperoncino jalapeno) esplicito omaggio al personaggio protagonista del videogioco Dark Souls che, con la sua innocenza e benevolenza, dispensa amicizia a coloro che, tra incertezze e cinismo, si avventurano nel mondo fantasy, alter-ego degli avventori di Vibe a cui chef Braschi offre la propria accoglienza, amicale e benevola, conducendoli lungo un percorso gustativo fuori dagli schemi e dalle certezze del “già visto”.
Dettagli che fanno la differenza
Chef Braschi porta in tavola, ma anche in sala e persino nella toilette, i suoi 25 anni, la voglia di libertà e l’esuberanza che la accompagna. Il mood “sopra le righe” del menu si riflette nell’eccellenza del servizio (affidato a uno staff tutto under 30), che si esprime innanzitutto nella proposta di una degustazione di oli d’oliva di diversa provenienza nazionale, con pane e grissini fatti in casa e continua con il pairing, che rivela maturità e consapevolezza. Si inizia con un menù delle acque (scelta sempre più diffusa nella ristorazione contemporanea, ma da non dare ancora per scontata, con proposte che spaziano dalla Francia al Regno Unito, dalla Grecia al Galles) e si prosegue con le proposte della cantina che spaziano tra Italia e Francia, puntando su un pairing “funzionale”, in grado di assicurare freschezza e pulizia del palato, ma anche su alcuni abbinamenti “spiazzanti” che spingono alla riflessione.
La provocazione prosegue con la “smitizzazione” del sesso attraverso i finti preservativi presenti nel bagno, a disposizione degli ospiti, che in realtà sono gelatine commestibili al passion fruit.
Insomma, nel nuovo indirizzo meneghino chef Briaschi sfodera talento, creatività, sensibilità e cuore, voglia di suscitare reazioni forti, ma anche fiducia nella disponibilità del prossimo (un pubblico eterogeneo composto da giovani, giovanissimi, non-giovani e intere famiglie) ad accogliere le provocazioni del menù per farne un oggetto di riflessione sulla cucina attuale.
Comunque sia, il talento di chef Valerio è fuori discussione, e con esso la natura di Vibe: secondo alcuni “una miniera ancora grezza e colma di pietre preziose che aspettano di essere portate in superficie”, secondo noi un laboratorio di idee in costante fermento, che meritano di essere seguite (e assaggiate) nel loro evolversi senza fine.