Marcel Boum: lo street food che unisce il Continente Nero all’Italia. Aperto da poco più di un anno nel cuore del Design District milanese, questo locale panafricano è un rimedio contro l’isolamento e la nostalgia “da safari” e un luogo di vera integrazione
di Chiara Di Paola
Aperto lo scorso giugno nel cuore del Design District milanese, Marcel Boum è molto più di uno street food pensato per avvicinare il pubblico meneghino all’Equatore o per attrarre la comunità africana in un luogo in cui ritrovarei sapori della propria terra; piuttosto è un luogo di incontro e dialogo interculturale attraverso la condivisione del cibo e delle storie di chi lo prepara. Infatti Marcel Boum nasce come progetto di integrazione voluto dai founder Gaia Trussardi (giovane imprenditrice che dopo aver lavorato per 5 anni nel settore della moda, come direttrice artistica nella maison di famiglia, ha scelto di impegnarsi a tempo pieno nella promozione di iniziative e start-up dalla forte connotazione sociale, e da anni impegnata a collaborare con la Croce Rossa Italiana offrendo formazione e mentoring agli immigrati e ai richiedenti asilo del centro accoglienza di Bresso) e Cesare Battisti (chef e imprenditore del Ratanà, ristorante milanese di alto livello nel quartiere Isola, gestito con lo spirito di una trattoria, abbattendo le barriere élitarie tipiche del fine dining), per dare a giovani provenienti da diversi Paesi dell’Africa (immigrati, profughi e rifugiati) i mezzi con i quali costruirsi una nuova vita, a contatto con una nuova comunità, ma senza dover rinunciare alle proprie radici. Per loro la cucina diventa così un percorso di apprendimento professionale, uno strumento per conquistare l’indipendenza economica e al tempo stesso un modo per tramandare le proprie tradizioni e dialogare con il prossimo attraverso un linguaggio universale e immediatamente comprensibile: il cibo.
Un luogo accogliente e senza barriere
Un vetrina incorniciata da stipiti gialli affacciata direttamente su via Savona, e all’interno un unico ambiente dall’atmosfera informale, con cucina a vista, pochi tavolini e arredi dal design moderno, colori caldi e materiali naturali che evocano immediatamente un atavico legame con la terra, sedute comode, musica dalle sonorità afro-jazz e un’illuminazione studiata per rendere piacevole la permanenza. Basta varcare la porta a vetri per accorgersi che Marcel Boum ha poco del classico take away: tutto qui è pensato come un invito a entrare, soffermarsi, intrattenersi, immergersi in una realtà diversa, nata dall’incontro tra storie, tradizioni, culture, sogni e sapori diversi. Alle pareti campeggiano molti proverbi africani, testimonianze di una saggezza universale e senza tempo, che restituiscono i valori profondi che fanno da fondamenta etiche al locale (“Ciò che non hai mai visto lo trovi dove non sei mai stato”; “Se vuoi arrivare primo, corri da solo; se vuoi arrivare lontano, cammina insieme”; “Se si sogna da soli, è solo un sogno. Se si sogna insieme, è la realtà che comincia”). Oltre a queste scritte, un’infinità di volti stilizzati: tutti auto-ritratti realizzati dal Laboratorio Tantemani nell’ambito del workshop “Innumerevoli” (un progetto di auto-narrazione nato per favorire l’esplorazione e la comunicazione di sé attraverso un linguaggio alternativo, creativo e libero, come appunto il disegno) e riprodotti qui per rappresentare l’idea degli “uno, nessuno, centomila” racchiusi nell’insegna stessa del locale. “Marcel Boum” è infatti un nome di fantasia, scelto come immaginario protagonista di una storia che vede un immigrato giungere in Italia dopo molte peripezie e trovare nella cucina un’occasione di riscatto oltre che il modo più empatico per integrarsi nel Paese che lo accoglie. Dedicato proprio a questo personaggio anonimo e assoluto (equivalente africano del “Mario Rossi” milanese) Marcel Boum è dunque un luogo, un progetto, un concetto in cui chiunque può identificarsi, rispecchiarsi nell’altro, ritrovare se stesso o scoprirsi dietro un volto nuovo.
Un menu etnico “contemporaneo” adatto a tutti i palati
L’offerta gastronomica di Marcel Boum è un viaggio attraverso poche ricette autentiche di diverse nazioni dell’Africa, ma “ingentilite” nel gusto per adeguarsi al palato del pubblico occidentale e favorire l’avvicinamento anche di chi non è abituato ai sapori intensi della tradizione gastronomica del Continente Nero.
In menu, frutto di un processo di sottrazione curato da chef Battisti, include non più di una dozzina di piatti “fusion”, leggeri ed equilibrati, a prevalenza vegetariana e realizzati in cucina da chef Prince, bresciano di ventinovenne originario del Ghana; insieme a Riyan Khani, richiedente asilo e proveniente dal centro di accoglienza di Bresso.
La proposta cambia stagionalmente ogni 3 mesi, e prevede una selezione di portate (dagli 8 ai 14 euro) come i Cartocci contenenti antipasti fritti (come i Fofos de Arroz del Mozambico (arancini di riso al cocco e gamberi secchi da immergere in una salsa rosa allo zenzero), la Shima dello Zambia (una polenta di mais bianco fritta accompagnata dalla salsa piccante Shito che invece è tipica del Ghana) e il Mihogo della Tanzania (una manioca fritta salsa Harissa ovvero maionese al lime e pepe nero etiope); il babaganoush di melanzane egiziano, sevito all’interno di un panino con pomodoro arrosto e insalata di fave speziate croccanti; il Wali Wa Nazi libico (Riso al cocco, lime, zenzero, avocado, berberè e cipollotto) o il Riso Jollof con salsa di pomodoro e verdure speziate arrosto tipico della Nigeria; il Tabulé e cous cous (piatto unico tunisino con prezzemolo, verdure, spezie, olio e limone e pomodorini leggermente piccanti); i Fufu (gli gnocchi di platano alla piastra originari del Ghana, conditi con cavolfiore, cocco, paprika, curry, battuto di limone verde e anacardi), l’Ugali della Tanzania (stufato di verdure alla curcuma e zenzero); il Mpotompoto (purè di patate dolci con coste ripassate e battuta di lime, peperoncino dolce e arachidi) e la Yassa senegalese, unica voce in menu che include proteine animali (si tratta infatti di bocconcini di pollo con spezie, cúrcuma, curry e menta accompagnati da riso al cocco e olive nere). Non mancano poi gli Hummus, declinati in tre versioni: algerina (Hummus di ceci e rapa rossa, con ravanelli e za’atar), marocchina (Hummus di ceci con ceci in insalata e sumac) ed egiziana (Hummus di cannellini con fattoush, insalata di pomodoro, cetrioli, ravanelli e crostini di pane). E per finire in dolcezza c’è il Basbousa (un dessert egiziano di semola, cocco e mandorle).
Tutte le pietanze hanno alle spalle un profondo studio della materia prima (spesso italiana) e vengono servite in contenitori biodegradabili, che testimoniano l’impegno di Macel Boum nei confronti della sostenibilità a 360 gradi: sociale quanto economica e ambientale.
Il pairing
Per accompagnare il tutto si può scegliere tra una selezione di birre italiane (del Birrificio Barona di Milano, oltre alla Birra Messina e all’Ichnusa), o optare per la St. George, una Lager etiope (prodotta dal primo birrificio africano, fondato nel 1922 ad Addis Abeba e presto divenuta bevanda “identitaria” africana, contrapposta alle birre estere portate dagli europei). In alternativa ci sono anche i vini Quartino, i succhi di frutta e i soft drink di Plose oppure i cocktail “ready to drink” in lattina di Cok, tra cui un interessante Negroni all’ibisco. L’acqua infine è la Wami, minerale “etica” che dona acqua a comunità sparse per il mondo.
Un concept da replicare
Nell’intento dei fondatori, il locale di Via Savona è solo il primo esempio di una catena di street food con cui diffondere la cultura del cibo africano a Milano (in qualità di capitale del cibo ma anche di metropoli multietnica, meta storica di immigrazione nazionale e internazionale) e offrire al curioso pubblico locale (e non solo) un’esperienza culinaria ma soprattutto culturale. L’idea è quella di favorire l’affermazione di un nuovo modello imprenditoriale rivolto all’integrazione dei richiedenti asilo, attraverso il coinvolgimento di molti attori diversi: il pubblico, i dipendenti, le istituzioni e tutta la società nel suo insieme. L’idea è che chiunque possa dare il suo contributo per abbattere le distanze con il prossimo: basta disporsi al confronto, al dialogo, all’accoglimento di nuove suggestioni. E il cibo e la convivialità sono uno strumento estremamente efficace e immediato per favorire questo incontro tra realtà, identità, culture che spesso (senza saperlo) hanno molto in comune.