Il Giardino di Giada di via Palazzo Reale 5 è uno dei primi ristoranti cinesi di Milano, naturale evoluzione – potremmo dire figliazione – del mitico La Muraglia di Porta Venezia che, alzata la saracinesca nel 1976, chiudeva i battenti nel 1996. Una parentela che è genetica oltreché cronologica: ad aprire infatti il ristorante – letteralmente all’ombra della Madonnina – era la figlia dei proprietari de La Muraglia, la signora Carmen, il cui nome vero, quello cinese, significa “come un uomo”, perché la madre voleva un maschio. Era stata lei, dopo aver raggiunto il 1° giugno 1959 un fratello espatriato ad Amsterdam (tra le prime emigranti dopo la presa del potere di Mao al termine della trionfale marcia su Pechino dei comunisti), che, arrivata in seguito a Milano, con il marito aveva inaugurato – quello che giurano essere – il primo in assoluto dei tantissimi locali cinesi che sarebbero nati negli anni successivi nel capoluogo. Proprio qui Carmen faceva la sua gavetta, arrivata in Italia il 1° giugno del 1979, 20 anni esatti dopo la madre.
Un po’ di storia
Il Giardino di Giada in origine si chiamava Giada’s Garden ma, per andare incontro a una clientela che allora era fatta quasi esclusivamente da italiani, e di italiani che, benché milanesi che volevano lasciarsi alle spalle il decennio buio del terrorismo per tuffarsi nella Milano da Bere degli anni 80, ancora masticavano relativamente poco il sempre più fondamentale inglese, il locale cambiava il nome in Giardino di Giada. Attraversando gli anni tumultuosi di Tangentopoli e della successiva lenta, faticosa risalita della china della città, passando per i trionfi, anche – se non soprattutto – culinari dell’Expo del 2015 e quindi della trasformaizone di Milano in meta turistica e gastronomica, il ristorante dia via Palazzo Reale vedeva prima crescere la presenza di stranieri provenineti dal Giappone (quando i tiristi del Sol Levante li riconoscevi per le macchine fotografiche con cui immortalavano tutto ma proprio tutto, per riportare in patria, oltre ai ricordi, anche i “segreti” dello stile di vita occidentale), quindi dalla Corea e infine dalla Cina. Allorquando, imbarcandosi a frotte nei nuovi rutilanti aeroporti che sorgevano a velocità inaudita nell’ex Celeste Impero (superata la sbornia rivoluzionaria e convertitosi a un sistema capitalistico de facto, per quanto, allora come oggi, dominato da un partito unico al potere), volavano verso i paesi occidentali milioni di visitatori provenienti dalla Repubblica Popolare. Che adesso, dopo lo stop di 3 anni causa Covid, pare stiano tornando, come sottolinea Carmen. Il cui segreto di ristoratrice è rimasto lo stesso attraverso 5 decadi: proporre la cucina tradizionale cinese, senza fronzoli e senza inganni. E, con il vantaggio certo non secondario, di farlo a prezzi davvero concorrenziali, in un ambiente dove tutta la stratificazione legata al passare del tempo è molto evidente, a partire dai lampadari, che, come ama evidenziare l’imprenditrice, sono ancora quelli del ristorante che aveva rilevato ormai 43 anni fa, ricoperti da stoffe cucite da lei stessa, così come quelle che ricorpono le sedie.
E Impero sia
Sviluppato su due piani (sarebbero tre ma il secondo è giusto un mezzanino), il Giardino di Giada ha oltre 100 coperti e vede coinvolto nella gestione anche uno dei due figli di Carmen, Gigi Chin: laurea in ingegneria con indirizzo in sostenibilità e una specializzazione alla Tsinghua University di Pechino. In cucina troviamo invece l’attuale socio di Carmen, Zhao, che prosegue nel solco tracciato dalla storica proprietaria e dal precedente chef Dong, 25 anni passati ai fornelli: portare in tavola i piatti della tradizione popolare, in tutte le sue sfaccettature. Un menu ricco, dove si mescolano sapori piatti e ingredienti che arrivano direttamente da un passato lontano, in alcuni casi remotissimo. E’ il caso delle ricette classiche della Cina imperiale, che hanno alle spalle oltre 800 anni di storia, come nel caso del Dong Po Rou, ovvero la “pancetta del poeta” stufata: un succulento piatto glassato dove l’ingrediente principale è cotto per ore dopo essere stato lavorato con maestria dal cuoco.
Ecco poi il branzino al vapore con salsa di soia, piatto simbolo del Giardino di Giada, per poi arrivare alla classica anatra pechinese con crêpes, da completare al tavolo. Non mancano, accanto ai piatti più antichi, le proposte della moderna cucina orientale: in primis i baozi, panini al vapore ripieni la cui presenza è d’obbligo sulla tavola dei cinesi, per arrivare ai ravioli e ai wonton.
La ri-scoperta
Se per molti anni la richiesta dei clienti italiani e più in generale occidentali si era indirizzata, e limitata, ad alcuni nuovi “classici”, come il pollo con le mandorle, gli involtini primavera e il maiale in agrodolce, piatti “facili” e a buon prezzo, negli ultimi tempi si è assistito a una riscoperta della varietà e della complessità della cucina cinese, che, a differnza di quanto vuole la vulgata, non è certo ridotta a queste proposte. E così, la ri-scoperta della cucina regionale e antica così come la declinazione fine dining delle pietanze più conosciute sono due attuali food trend che rendono obbligata una visita al Giardino di Giada per chi voglia provare un menu davvero cinese. Risultato ed espressione, vale la pena ricordarlo, non solo di millenni di civiltà ma di una tradizione culinaria che abbraccia un Paese immenso, con quasi un miliardo e mezzo di abitanti!