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La ristorazione, quella seria, di qualità, è un universo a sè.. Ci sono i templi, i luoghi sacri, le grandi personalità. Quelli che hanno detto tutto, che hanno fatto scuola, che meritano eterno rispetto, a prescindere. Quelli su cui non si discute, insomma. La loro cultura, l’esperienza, la sensibilità, la capacità professionale sono valori che hanno fatto la nostra storia. E, con il loro esempio magistrale, ancora oggi indicano ai più giovani la strada da seguire. Un nome per tutti: Gualtiero Marchesi, l’uomo colto, profondo e rivoluzionario, che ha dato alla ristorazione italiana la grande scossa, dagli anni Settanta in poi. E che oggi, ancora, vanta il primato dell’audacia mista a saggezza. Poi ci sono gli altri, quelli che con passione, fatica, impegno si sono imposti sulla scena, inventando, creando ma anche mutuando e imparando da altri, arrivando a rappresentare quello che amo definire “lo zoccolo duro” della ristorazione di qualità. Sono il raccordo fra passato e presente, sono solidi e concreti, non amano troppo i voli pindarici, pur nella vena creativa che li contraddistingue. Spesso segnalati dalla critica, ben sanno quanto la strada sia irta e complessa, ma credono nel risultato e spesso lo raggiungono con successo, arrivando a essere veri punti di riferimento. Poi ci sono quelli che hanno saputo specializzarsi: con intuito, cuore, determinazione hanno creato le loro fortune, dignitosamente, con il valore della famiglia a sottintendere il successo. Sono la ristorazione che sa fare i numeri senza snobbare il tavolo per due: sono dei grandi professionisti, checché ne dicano i critici più saccenti ed altezzosi.  Poi ci sono i fuoriclasse, il cui talento è un fatto evidente, seppur non oggettivamente conclamato: sono spesso sconosciuti ai più, operano lontano dai riflettori, raramente li chiamano alla TV, sono ritenuti dei sognatori, fuori dagli schemi ma anche fuori dal mondo. Gli addetti ai lavori li seguono in silenzio, non vogliono “bruciarli” davanti a una ribalta impossibile, ma sono consapevoli della loro stoffa. Talvolta fanno tenerezza, altre rabbia. Ma non sono presuntuosi, non sanno vendersi, passano ore e ore a capo chino per realizzare i loro piatti, la loro idea personale di cucina, il loro ideale gustativo. Con distacco e sarcasmo, la critica li ignora o li omette, talvolta li osanna a sproposito. E crea loro danni e fomenta invidie. Ma vanno osservati, incoraggiati, seguiti. Senza tronfia arroganza, senza guardarli dall’alto in basso: andrebbero visti e valutati con attenzione: con lucida, umana analisi del loro operare. Sono la ristorazione italiana in divenire. Quando la ragionevolezza andrà ad aggiungersi ai loro valori, avranno finalmente le soddisfazioni che si meritano, chiuderanno il cerchio. E l’ingegno tornerà ad essere un valore distintivo, in questa Italia a crescente rischio di mediocrità. Magari non saranno “fenomeni” ma, tutti insieme, faranno da argine al piattume generalizzato. La loro passione fará la vera differenza.

Alberto P. Schieppati

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