Fra talenti già consolidati e giovani emergenti di grandi capacità, il capoluogo lombardo si configura come la città più gourmet d’Italia. Una pattuglia di professionisti, con le idee chiare in testa, sta trasformando il capoluogo meneghino in un laboratorio gastronomico senza uguali.
Qualcuno ha parlato di un nuovo rinascimento, altri di effetto Expo. Certamente l’ultimo triennio, per non parlare solo dei mesi scorsi, ha visto Milano arricchirsi di una nuova schiera di ristoranti di alto livello, che mettono in primissima fila cuochi di talento pronti a spiccare il volo, ma anche nomi affermati con stimolanti progetti da presentare e idee innovative da mettere sul piatto, è proprio il caso di dire. Insieme alla scenografica città “verticale”, alla mirabolante piazza Gae Aulenti e alla scintillante area di Porta Garibaldi, è questa la Milano del presente e del futuro, certamente più etnica e multiculturale, con un paesaggio urbano più contemporaneo e vicino a quello delle maggiori città europee ma anche con una proposta gastronomica variegata e ricca di intuizioni fusion, senza tralasciare il made in Italy a tavola. Magari recuperando tradizioni e cultura del cibo da proporre in una nuova veste. I nomi su cui puntare arricchiscono una lunga lista, dalla quale, però, si possono estrapolare le esperienze più originali, anche per quanto riguarda la cucina di albergo, che in città ha sempre avuto notevoli difficoltà nel presentare esponenti di primissimo piano, a parte qualche rara eccezione. Ma andiamo per ordine. Uno degli ultimi arrivati, meno di un anno fa, è stato il comasco Paolo Lopriore, già marchesiano di ferro e con un passato luccicante alla Certosa di Maggiano a Siena, prima della breve esperienza al Kitchen di Cernobbio. Nell’enoteca ristorante Tre Cristi, aperta in via Galilei (ed è la filiale di uno storico ristorante senese), si reinventa approcciando una cucina più facilmente comprensibile rispetto a quella frequentata nel recente passato, già fatta di piacevoli estremismi e contrasti al palato. Nel suo indirizzo milanese Lopriore gioca la carta della scomposizione del piatto, e in qualche modo, della valorizzazione della materia prima portata alle estreme conseguenze. In tavola arrivano piatti solo apparentemente finiti e il cliente entra nel ruolo di complice di primissimo piano sostenendo con le sue scelte il gioco del piatto da realizzare e poi da consumare. In breve, il tavolo si riempie di ciotole e cocotte che contengono i prodotti i quali, uniti a piacere, portano alla realizzazione del piatto. Così se ordinate il “riso cozze e patate”, sempre tra i più gettonati, vi arrivano il riso servito a parte, così come una ciotola di cozze, una ricca porzione di crema di patate e tutti gli elementi che normalmente verrebbero assemblati dietro le quinte dalla brigata. Lo stesso accade con l’insalata di antipasto e con buona parte dei piatti presenti in menu. Ed è un’idea decisamente originale, che favorisce la convivialità (non presentatevi da soli al ristorante altrimenti il gioco viene meno) e che stimola il buon senso e l’interazione da parte dell’ospite. Cambiando protagonista, e spostandosi di qualche centinaia di metri, in via San Marco, si incontra un altro marchesiano che ora cammina con le sue gambe. Si tratta di Daniel Canzian il quale ha aperto il suo ristorante Daniel con la visione di voler attualizzare la cucina italiana, come ben spiegato tra le pagine del menu. Già al Marchesino di piazza della Scala, Canzian in realtà si spinge un po’ oltre questa semplice intenzione. La sua cucina prende in prestito idee “artistiche” del Maestro di un tempo (vedi le preparazioni esteticamente ispirate da Arnaldo Pomodoro, come la panzanella o il dolce al cioccolato a forma di sfera), ma al tempo stesso si nutre di accelerazioni fusion molto evidenti, trasportate all’interno della classicità italiana, come il coloratissimo “Risotto exponenziale” che vive di profumi e sapori indo-mediorientali e lo “sgombro ha una crosta di quinoa soffiata”. Uno stile che è divertente e a tratti provocatorio, anche quando ci si trova di fronte al croccante, e convincente, “minestrone in salsa di pomodoro”. La provocazione è, in qualche modo, anche un tratto distintivo del nuovo corso del ristorante Trussardi alla Scala dove si è insediato da qualche mese Roberto Conti. In realtà il giovane e intraprendente cuoco era già nella brigata in precedenza capitanata da Andrea Berton, ma prima ancora si era concesso un passaggio “vegetariano” al Joia di Pietro Leeman. Oggi il menu del Trussardi vive una fase di piacevole contaminazione stilistica, con piatti dove la tradizione regionale incontra elementi di “disturbo” capaci di offrire spunti di riflessione quasi ovunque. Accanto a piatti più consolidati nell’immaginario collettivo, come il polpo e patate con limone e prezzemolo o la costoletta di vitello con salsa bernese, connotati da un’attenzione spasmodica alla migliore materia prima, troviamo anche audaci divagazioni orientali, con il luccio perca glassato al teriyaki o il merluzzo nero con il the affumicato. Scelte, queste ultime, figlie di un recente viaggio nel Sol Levante, che ha aperto la strada anche a qualche divertente abbinamento al tavolo con il sake, con la complicità della grande regia in sala di Luca Cinacchi. Attraversando la Galleria e sbucando quasi in Piazza Duomo non si può poi trascurare l’indirizzo stellato del Vun ospitato all’interno del Park Hyatt, e da qualche anno regno incontrastato del dinamico e ambizioso Andrea Aprea. Dal suo arrivo, dopo l’avventura del Romeo Hotel a Napoli, il cuoco partenopeo ha dato una sferzata in avanti sia nella cucina, smussata in parte da quegli angoli eccessivamente mediterranei per approdare a uno stile contemporaneo elegante e ordinato, sia nell’ambiente, ora più raccolto e intimo, quasi ovattato e che nasconde Milano fuori dalle finestre. Una scelta in linea con la “food experience”, che qui merita un’attenzione particolare e una concentrazione assoluta. Perché se è vero che il pomodoro rimane il prodotto più amato dal cuoco, Aprea invita i suoi ospiti in un viaggio molto più complesso sulle ali della tradizione-innovazione e tra superbe creazioni che a volte sfiorano la poesia. In sala, Nicola Ultimo, garantisce con la sua supervisione quella professionalità nel servizio che ogni grande locale meriterebbe. Infine, per chi ama anche un certo mondo urbano fatto di fashion e Milano bene, un indirizzo da segnare è quello del Ceresio 7 dei fratelli Caten (quelli della linea di moda D Squared, per intenderci). A reggere le fila in cucina c’è un cuoco frizzante e di primissimo piano come Elio Sironi, già al Bulgari in passato e in giro per la Sardegna durante i mesi caldi. Il Ceresio 7, oltre a diventare in breve tempo un luogo mondano grazie alle sue piscine con vista sui tetti della città e all’indiscutibile bellezza del luogo, ha saputo ritagliarsi uno spazio nel ristretto giro dei ristoranti che meritano una sosta gourmet. Con uno stile internazionale che pesca tra tapas estrose, ricchi antipasti a buffet e una serie di piatti freschi e ammiccanti, come dice bene il percorso lavorativo di Sironi. Materia prima di ottimo livello, sempre in primo piano (vedi le tartare, ma anche il culatello di Spigaroli), piatti dai piacevoli richiami mediterranei, come nello stile del cuoco e buon senso senza voler strafare. Carte vincenti che hanno decretato il successo del Ceresio 7 e il ritorno in grande stile di Elio Sironi sulla piazza milanese.
© Artù