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Matteo FrondutiCuoco antagonista e rivoluzionario, segue un percorso di cucina personalissimo, proponendo nel suo ristorante milanese piatti di forte impatto gustativo. Già dai nomi, le voci dell’essenziale menu sono espresse con un linguaggio chiaro e al tempo stesso ironico, che non ammette tentennamenti nella scelta da parte del cliente e che vanno subito al dunque. Dinamico e controcorrente, Matteo Fronduti è sempre se stesso, dalla parte di un gusto totale, ancestrale e, anche, eroico e coraggioso, ancor di più in tempi come questi, di vacuo conformismo mascherato da “global trend”. Anche per questo la sua cucina può essere definita a pieno titolo moderna.

ortica 2Che dire? Matteo Fronduti non è una persona normale, almeno nell’accezione consolidata del termine che i più utilizzano. Attenzione, questo vuole essere un complimento o, in ogni caso, una attestazione di stima, derivante dal fatto che lo chef del ristorante Manna (www.mannamilano.it) non è un tipo da “omologazioni facili”: la sua è una strada personalissima, di fronte alla quale viene spontaneo esclamare “chapeau!”. E di questi tempi, trovare qualcuno che esprima sincera diversità (cioè non legata a strategie o volontà di stupire) e scoprire che trattasi di “diversità migliorativa” rispetto alla norma della chefferia dominante a Milano, strabilia e rende felici… Il suo ristorante, Manna, lo conosciamo da tempo, anche per averci portato gourmet potenziali (ma solo tali, nella speranza che avrebbero empaticamente aderito, con slancio automatico di passione, all’idea cul-in-aria di Matteo Fronduti). Ora ci si torna, grazie alla simpatica insistenza di Patrizia, che ama il locale incondizionatamente. E lo promuove co02 riso 3n sagacia presso gli amici. L’esperienza estiva da Matteo, in una afosa giornata di luglio che avrebbe imposto – alla maniera delle sciure milanesi – “insalatina leggera, leggerissima e delicata, di erbe dell’orto”, è stata in realtà dirompente. Apoteosi del gusto estremo, verrebbe da dire. Già dalla lettura del menu si percepisce una volontà totale di uscire dalle banalità quotidiane, dalle definizioni lunghe diciassette righe per piatto (vale a dire, in gergo giornalistico almeno 1.500 battute di testo per ogni singola voce). No, qui vige la sintesi. E che sintesi: gli antipasti gorgheggiano sopra un letto di parole essenziali, che danno subito il senso del piatto, i suoi ingredienti. “Ha perso”, ovvero battuta di nasello, coriandolo, lime e peperoncino. “Ortaggio folle”, bruschetta di melanzane affumicate, burrata e timo. “Quasi peperonata”: terrina di peperone, peperone sottacet07 allegra brigata Mannao e muso di maiale candito. “Altro che per gatti”: minestrone asciutto di trippa tiepida e speziata. Quest’ultimo da leggenda per sostanza-rotondità-sapore. Fra i primi, ho ricordi amorosi di: “Non bello”, ovvero paccheri, ragout bianco di scorfano crudo e olive taggiasche, “Mari e monti, ma veramente?”: riso mantecato, crostacei, molluschi, erbe di campo e funghi, “Banalissimo”: spaghetti, pomodoro leggermente piccante, scorza di limone, “Sopa fria”: gazpacho, sedano e frutta secca. I secondi? Una fiaba di Andersen, anche nei nomi: “Riassunto di mare”: gambero, capasanta, carcadè e senape, nocciole e guanciale, “Insalata Porco Cesare”, revisione lessicale shocking della Caesar’s Salad: stinco di maiale arrosto, erbe aromatiche, grana, salsa all’uovo. Meraviglia e succulenza, “Tonné”: vitello mor00 Interno Mannabido, salsa tonnata, scalogno. I dolci: “Agro balcanico”: macedonia frutta e verdura, sorbetto di lattughe, “Conte grigio”: cioccolato fondente, fave di cacao e gelato al tè nero e bergamotto. Qualcuno ha definito “reazionaria” la cucina di Matteo, lui stesso ha creato una rassegna di menu definita “Ignoranza, ovvero della cucina reazionaria”… Io preferirei chiamarla “cucina di energia”, frutto delle sue intuizioni antagoniste, della capacità di selezionare al meglio le materie prime, di trasmettere entusiasmo, passione e autorevolezza alla sua giovane brigata di cucina. Oltre ogni banalità, Matteo ha prestato molta attenzione anche ai prezzi, riducendo i suoi margini, selezionando materie prime all’insegna di nuovi concetti gustativi e non relazionandosi a vecchi, presunti concetti di pregio. Il risultato è un ottimofragola 1 rapporto fra prezzo e qualità (frase banale, ma che rende l’idea, visto che difficilmente si superano i 40 €, bevande a parte. A pranzo, c’è anche un Business lunch a meno di 20 € per primo, secondo e acqua minerale. La carta dei vini è ben fornita, con quasi cento etichette e una pattuglia di birre artigianali di microbirrerie di qualità. Contrario al “lusso fine a se stesso”, Matteo si definisce paladino dell’alta cucina “accessibile”. Recentemente Fronduti ha ristrutturato il locale, rendendolo più gradevole esteticamente e più funzionale negli spazi. L’ubicazione è periferica, ma ben servita dalla linea rossa della metropolitana. Alberto P. Schieppati

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