La supremazia mediatico-televisiva degli chef su ogni altro aspetto dell’offerta di food e di beverage, è un fatto indubbio. Nella società, grazie ai format di successo del piccolo schermo (ma anche alla quantità di app dedicate all’argomento), si è diffusa una passione per il cibo e la cucina – in tutte le sue varianti e accezioni – decisamente smisurata, quasi iperbolica. Aumentano i ragazzini che, da grandi, vogliono fare il cuoco: innanzitutto per emergere, per mostrarsi, per avere successo prima ancora che per imparare un mestiere difficile e (chiedetene conferma a chi passa almeno dieci ore al giorno nelle cucine dei ristoranti) faticoso, che richiede anni di apprendistato, di sacrifici veri, di esperienza maturata sul campo prima che ci si possa dire “arrivati”. Come una volta si desiderava “fare il calciatore”, oggi si vorrebbe diventare famosi grazie alla fascinosa attività da berretta bianca, spesso a prescindere dalla necessità di studiare le materie prime, di imparare le tecniche di cottura, di conoscere la tradizione, di sviluppare il proprio estro creativo (sempre che ci sia). Questa supremazia del food sul resto è ormai una specie di dittatura che, in virtù del potere esercitato, rischia di mettere in secondo piano altri momenti ugualmente importanti dell’offerta di ristorazione. E l’ambiente? E la professionalità? E la location? E la cortesia di chi serve? Tutti elementi che, insieme, concorrono al valore e alla qualità dell’esperienza di consumo e rafforzano il nostro migliore Made in Italy. Anche il vino, che negli ultimi tempi sembra essere protagonista di scenari esclusivamente legati all’export, si è ritrovato un po’ in disparte rispetto allo scenario dominante, quello del “maialino cotto a bassa temperatura” o del bucatino cacio pepe, fatto a regola d’arte. Per carità, il gusto di un piatto e la soddisfazione che ne consegue sono un piacere senza uguali. Il fatto che il nostro magazine abbia appena stretto una partnership con CHIC, l’associazione professionale di cuochi (vicina ai 100 associati, in Italia e nel mondo) presieduta dal bistellato Marco Sacco, uno dei più capaci cuochi italiani, sta a dimostrare che l’interesse verso la cucina d’eccellenza è un fatto inarrestabile: l’alimentazione corretta, l’uso appropriato delle materie prime, l’equilibrio del piatto, ma anche l’esperienza, l’umiltà e la storia professionale di ogni singolo chef sono valori fondamentali. Non a caso Marco Sacco sottolinea ”l’importanza della internazionalizzazione dei nostri valori: premere l’acceleratore sulla professionalità (e CHIC ne ha da vendere, nda) dei nostri cuochi ha l’effetto di attirare l’attenzione sul vero concetto di italianità in cucina”, sulla “marcia in più” degli chef italiani nel saper offrire qualità ai propri clienti. Al di là di questo, però, dobbiamo vedere la cucina, la buona (o grande) cucina come una attrice importante, una co-protagonista della scena: non una primadonna, ma l’elemento su cui ruotano fattori ugualmente “pesanti”: la sala, il servizio ai tavoli, il (o la) sommelier, il menù e la carta dei vini, l’atmosfera e la godibilità del luogo, l’autorevolezza della conduzione, l’amenità del territorio. Il mondo, che si affaccia sempre più al nostro paese in cerca di Made in Italy, pretende da noi “piacere italiano autentico”. Dal cibo al vino, in una sequenza non necessariamente simultanea, ma premiante per ogni singola esperienza. È vero, come ama sottolineare Gualtiero Marchesi, che l’abbinamento forzato cibo-vino non sempre dà ragione al piacere dell’esperienza culinaria. Ma questo non deve significare, una volta di più, che il vino sia elemento secondario dell’esperienza, tutt’altro. In una logica che veda ogni aspetto nella giusta luce, prendiamo esempio da manifestazioni come Sparkling Menù, nella quale il valore di un piatto si coniuga al valore di un grande cru di Franciacorta (in questo caso, Cuvette 2007 di Villa). E dal confronto fra stili diversi nascono esperienze memorabili, che escono dalla logica dell’abbinamento tout court e si aprono verso nuovi modi di consumo. Alberto P. Schieppati
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