Michelangelo Citino è uno chef atipico. La sua capacità professionale e le sue esperienze, molto vaste ma essenzialmente riconducibili a uno chef divenuto ormai un’icona contemporanea, Davide Oldani, meriterebbero molta più attenzione, soprattutto da parte della critica più paludata. Nel “suo” ristorante-gourmet, dentro l’aeroporto di Linate, propone una linea di cucina pulita, essenziale, improntata ad un gusto equilibrato, direi “lombardo” (più per lo stile che per la tradizione territoriale). Sì, in letteratura Citino sarebbe stato ascritto d’ufficio alla cosiddetta linea “lombarda”: il suo carattere è sintetico, preciso, senza ampollosità, diretto come lo sono i suoi piatti. Le materie prime, talvolta importanti come nel caso del foie gras, spesso più “povere” ma magistralmente interpretate, sono la vera chiave di lettura della sua cucina: tutto parte dalla materia, come ci ha insegnato il grande Aimo Moroni che sul tema dell’origine degli ingredienti e della loro provenienza geografica ha addirittura costruito negli anni una weltanschaung inconfondibile. Lo spazio aeroportuale, gestito da una grande insegna della ristorazione commerciale che ha affidato a Michelangelo l’impegnativo compito di condurre il locale (che si chiama come lui, Michelangelo), è ampio (forse troppo) e con i tavoli ben distanziati, a sottolineare il comfort necessario anche durante una raffinata esperienza gourmet. E di esperienza memorabile si tratta, se pensiamo che la brigata di Michelangelo Citino (una squadra bella affiatata, a cui manca solo l’attenzione della guida Michelin, che pare non essersi ancora accorta dell’esistenza del ristorante) è ben motivata e determinata nel produrre piatti di rara consistenza gustativa. Abbiamo riprovato il Michelangelo durante una recente serata gastronomica dedicata alla castagna: in menù erano presenti piatti – tutti abbinati a champagne Pommery e alla linea di vini distribuiti dalla Maison – in qualche caso davvero memorabili. Alludo per esempio al manzo all’olio, caldarroste alla liquirizia e cime di rapa (La Chapelle Gourdon Blanc), succulento e presentato in modo innovativo, o agli gnocchi soffiati, fonduta al Taleggio, marroni glassati e cacao. Forse, in questo ultimo caso, il desiderio di perfezionare il piatto ha portato lo chef a un eccesso di ingredienti (il cacao era necessario?)… Ma il risultato gustativo è stato comunque interessante, rivelatore di una ricerca incessante e mirata. Parlando con Michelangelo si ha la netta percezione del suo impegno, della sua volontà di offrire sempre il meglio alla clientela: ma anche della sua profonda soddisfazione quando il piatto viene capito, culturalmente accettato, goduto e apprezzato. Il che è naturale per uno chef che non propone piatti stereotipati, ma che fa della continua ricerca sulle materie prime e sulle tecniche di cottura il suo imperativo. Nel menù del ristorante, segnaliamo piatti di indubbia presa, come la crema di spinaci, parmigiano fritto e bagna cauda, i cappelletti di vitello con fonduta al Taleggio e fichi secchi, il risotto mantecato, cima di rapa, fegato grasso di anatra (per la felicità del grande chef Bernard Fournier che da sempre preferisce l’anatra all’oca), il “mitico” cacio pepe e lime. Fra i secondi, sosteniamo a spada tratta piatti di tradizione come la costoletta di vitello alla milanese (ottima, per cottura e consistenza), ma anche la pluma iberica, pesto pinoli e uvetta, carota fondente o il controfiletto di cervo con foie gras o, ancora, il polipo arrostito, melanzane al basilico, rape e n’duja non ci hanno affatto deluso. Il rapporto prezzo qualità è assicurato, fra l’altro, da un eccellente menù degustazione proposto a 39 euro! Dimenticavo: da provare il Michelangelo’s tiramisù: un vero must.
Via Forlanini – Aeroporto Linate (area partenze – 2° piano) – 20090 Segrate (Mi) – tel. 02 76119975 www.michelangelorestaurant.it
© Artù