Dopo vari movimenti, alla Corte del Relais Abbazia si è finalmente insediata una brigata giovane, connotata da passione e conoscenza, capace di consegnare alla sala piatti di grande caratterizzazione e armonia. La famiglia Zanon (nella foto Giovanni Zanon) chiude così il cerchio dell’offerta, affiancando a un’ospitalità superlativa una cucina dotata di uno stile inimitabile.
Avendone seguito gli ultimi vent’anni di storia, conosco bene l’impegno messo dalla Famiglia Zanon nel concepire, posizionare e rendere sempre più prestigioso il proprio Relais Villa Abbazia, a Follina. Negli anni splendidi del turismo d’elite e nei tempi, meno brillanti, di questa Italia in difficoltà. La loro strada è sempre stata lineare, decisa, senza sbavature né accondiscendenze verso cambiamenti che ne avrebbero compromesso il fascino e l’unicità. Ad ogni costo, rischiando di perdere il treno così diffuso dell’adeguamento verso il basso, ma certi di conservare e sviluppare concretamente uno stile realmente superlativo. Quante volte, parlando con Ivana Zanon, patron del Relais & Chateau, ho colto questa tensione estetica verso il bello, reso possibile (oltre che dalle caratteristiche della struttura trevigiana), da una sensibilità intellettuale ed emotiva verso le esigenze dell’ospite, di un “certo” ospite. Follina, peraltro, è un luogo magico, per posizione territoriale, arte, storia: con la fortuna di avere, sul proprio territorio, questa struttura dal fascino inimitabile ed esclusivo. “L’esclusività – dice Giovanni Zanon, fratello di Ivana, grande esperto di vini e di ristorazione -, sembra essere un valore in via di estinzione: in un momento difficile dell’economia italiana, dove il minimalismo impera ed alligna, noi abbiamo il coraggio, la volontà e la passione necessaria per offrire all’ospite qualcosa di completamente diverso e caratterizzato, in grado di attrarre e colpire per la qualità dei servizi e la cura dell’accueil”. Parole sante, avvalorate dal successo che Villa Abbazia continua ad avere, quasi fosse un magnete capace di attirare la migliore clientela internazionale (ma anche italiana) , in cerca di pace, atmosfera, unicità, servizi di livello. La clientela del lusso, direbbe qualcuno; del lusso “compatibile”, aggiungiamo noi… Perché all’Abbazia non è lo sfarzo a dominare la scena, ma l’attenzione discreta e semplice verso l’ospite di qualità, alla ricerca di esperienze memorabili, che facciano la differenza, da riportare a casa, da ricordare con emozione, da raccontare negli ambienti giusti. La lunga introduzione era necessaria per capire meglio, oltre agli standard elevati dell’ospitalità alberghiera dell’Abbazia, l’approccio culturale alla ristorazione da parte di una famiglia (oltre a Ivana e Giovanni anche Maria Giovanna e Rosy, perfette nella loro eleganza, sono impegnate nella conduzione) letteralmente votata alla causa dell’hotellerie personalizzata. Sto parlando qui de La Corte, il ristorante gourmet del Relais, la cui cucina è oggi guidata da un giovane professionista che opera all’insegna della meticolosità combinata a dosi di genialità e, perché no, di grande umiltà. Senza strafare, ma con le idee chiare e una perfetta conoscenza delle materie prime (e della fatica che costa il selezionarle), di territorio e non solo. “Lui” è Donato Episcopo, classe 1973, originario di Cursi (in provincia di Lecce): può permettersi di vantare sei anni di esperienza col tristellato Heinz Beck, ma anche il lancio di una struttura, pure stellata, in Campania, il mitico Marennà dei Feudi di San Gregorio. Ma, aldilà dei curricula, ci pare che Donato abbia trovato proprio qui, nella Marca Trevigiana, nel cuore della terra del Prosecco (siamo tra Conegliano e Valdobbiadene), la sua vera vena creativa. La bellezza delle sale della Corte potrebbe aggiungere all’esperienza gastronomica qualcosa di più di una semplice degustazione di piatti, ma è proprio su questi che ci siamo voluti concentrare: e qui le sorprese sono state davvero molte. A cominciare dal “cubo di maiali e sedano”, proposto con scarola saltata all’aglio sfumato e crema di fagioli bianchi, per arrivare ai “calamaretti spillo salatati alla plancia, con insalata di porcini del Cadore e misticanza, spuma di pane e pinoli, tartufo nero di Norcia: piatti di struttura, ma anche di armonia, perfetti nella riconoscibilità dei singoli gusti e non invasivi nella pretesa di affermazione (così presente nel lavoro di tanti chef, in cui l’esibizione di muscoli ha il sopravvento su quella armonia necessaria, così importante per un piatto). Fra i primi preparati da Donato Episcopo, che è affiancato dal secondo, Federico De Luca con il quale forma una piccola brigata ben determinata, segnalo i “ravioli di patate ripieni di fonduta di Montasio stravecchio”, proposti con guanciale di maialino croccante e zucca, gli “spaghettoni Verrigni con mandorle, cipollotto e colatura di alici di Cetara”, gli “gnocchetti di semola di grano duro”, mantecati ai gamberetti rosa di Sicilia, cannolicchi e zafferano in pistilli dell’Aquila. Una cucina che indulge solo parzialmente al territorio, ma che preferisce sottolineare i sapori delle materie prime nella loro complessità. E, sempre per non esagerare, il menù propone quattro secondi: il filetto di branzino d’amo del Tirreno, il piccione e foie gras alle nocciole, il lombo di agnello in crosta di capperi e olive taggiasche, la variazione di maialino. Quest’ultimo piatto, definito anche simpaticamente “Son cavoli del maialino” prevede la presenza di tre diversi tipi di carne di maiale, impiattati insieme ad altrettante tipologie di cavolo, abbinate alle carni: dunque, sfogliatella napoletana ripiena di stracotto di spalla di maialino carrè di maialino con purea di cavolfiore, carrè di maialino cotto sul fry top per due ore a bassa temperatura (“devi stargli appresso e non distrarti mai”, dice lo chef) con cavolo verza e purea di mele, cosciotto di prosciutto marinato a crudo 12 giorni con sale di Cervia, poi cotto a bassa temperatura per due ore (65 gradi in roner , il termostato professionale amato da tanti chef) con cavolo viola marinato alle arance di Sicilia con olio extravergine e composta di albicocca. Tre maialini, tre cavoli, una sola succulenza: un piatto da gustare, per le diverse consistenze e per i diversi sapori che riesce ad esprimere. Anche sui dessert c’è un bel lavoro di ricerca, che fa uscire dalla cucina savarin alle noci di raro equilibrio, una originale cartelletta “Petra 5” cotta al momento, un Tiramisù che potrebbe vincere il campionato mondiale (se qualcuno avesse voglia di organizzarlo), una creme brulé al profumo di vaniglia servita con gelato e granita di caffè. Un’esperienza completa, quella alla Corte di Follina, che forse non ti saresti mai aspettato, per vari motivi: sei lontano dai grandi centri, non ti trovi di fronte a uno chef famoso, è attivo da poco tempo nella struttura. Beh, possiamo dirlo? Forse sono proprio questi i motivi che regalano all’ospite quella freschezza e quella pulizia dei piatti (e dei sapori, e dei gusti) sempre più rara a trovarsi nell’Italia della ristorazione. Un’esperienza positiva anche sotto il profilo vinicolo: le oltre 700 etichette selezionate da Giovanni Zanon rappresentano il meglio di Italia e mondo, con una attenzione estrema verso le etichette meno conosciute, di produttori spesso molto giovani che privilegiano, in certi casi, colture biodinamiche. E con un occhio rivolto alle migliori produzioni del territorio trevigiano, dove il Prosecco di qualità la fa sempre da padrone. A.P.S.
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